Carissimi,
la decisione del Comitato dei 45, presieduto da Romano Prodi, di affiancare alla elezione dei delegati all’assemblea costituente, quella del segretario del Partito democratico, è stata un passaggio tutt’altro che scontato. La mera logica procedurale avrebbe anzi richiesto una netta distinzione tra i due momenti: prima la costituzione del nuovo partito e poi, sulla base del nuovo statuto, l’elezione degli organismi dirigenti.
Se il Comitato ha deciso diversamente, anche contro le perplessità di alcuni, tra i quali io stesso, è perché ha valutato che un’accelerazione del percorso verso il Partito democratico fosse necessaria, per offrire una risposta politica alle difficoltà nel rapporto tra il centrosinistra e il Paese, confermate dal negativo risultato delle elezioni amministrative della scorsa primavera.
Si è detto che il Paese non avrebbe capito un itinerario troppo lungo, al punto da apparire autoreferenziale. E che il percorso costituente avrebbe dovuto risultare da subito politicamente incisivo, capace di corrispondere alla diffusa e perentoria domanda, al tempo stesso, di nuove forme democratiche e di nuovi contenuti programmatici del nostro agire politico.
Accettando di candidarci alla segreteria del Partito democratico, tutti noi ci siamo assunti la responsabilità di corrispondere a questa duplice aspettativa. Sia come singoli, ciascuno avanzando le proprie proposte, sia nei rapporti tra di noi, che stanno già assumendo la delicata e decisiva funzione “costituente” della dialettica politica interna al partito che nasce.Si fa spesso riferimento e paragone con le primarie americane, senza però considerare che negli Stati Uniti si tratta di una tradizione, di un’organizzazione e di una pratica consolidate negli anni, mentre qui da noi è qualcosa di nuovo e di decisamente diverso, perché alla scelta della persona, del leader, si accompagna contestualmente la costituzione di un partito. Cosa che richiede tanta più attenzione, saggezza, spirito unitario e vorrei dire “delicatezza”, perché il modo in cui ci comportiamo contribuirà inevitabilmente a definire l’immagine e la stessa identità del Pd.
Il Partito democratico risulterà più o meno innovativo, agli occhi dei cittadini, anche a seconda di quanto riuscirà ad esserlo il nostro modo di competere, perfino lo stile, il tratto umano col quale sapremo rapportarci tra di noi.
Penso che i cittadini considererebbero innovativo e quindi interessante, degno di essere seguito e in grado di invogliare alla partecipazione, un confronto che rappresentasse una cesura netta rispetto agli aspetti deteriori del nostro ancora acerbo bipolarismo politico. Se il principale difetto del bipolarismo italiano è quello di reggersi più su coalizioni “contro” l’avversario, che su solide alleanze “per” il governo dell’Italia, penso che l’ultima cosa che dovremmo fare, se non vogliamo da subito rinchiuderci nello stereotipo della rissa politica da talk-show, è impostare la nostra competizione nel segno della critica reciproca anziché della proposta al Paese. Costruendo un clima grottesco tra persone che si stimano e hanno sempre lavorato lealmente insieme.I cittadini non sopportano più un confronto politico meramente critico e demolitorio nella dialettica tra avversari. Lo considerano inaccettabile tra alleati. Tra esponenti dello stesso partito lo giudicherebbero semplicemente deprimente. Vorrebbe dire che mentre ci accingiamo a fondare un partito nuovo, ci apprestiamo anche ad impostarne il confronto interno secondo i vecchi e logori schemi del più deteriore professionismo politico, per i quali ciò che conta non è lavorare in modo limpido e aperto per tradurre i valori in programmi e per costruire attorno ad essi il necessario consenso, ma come “posizionarsi” in vista di futuri organigrammi; come conquistare, magari solo per poche settimane, un supplemento di “visibilità” da far valere nelle future spartizioni, come organizzare componenti correntizie per “pesare” e quindi “condizionare” i futuri assetti e le future leadership.
Nel proporre la mia candidatura ho presentato, al Lingotto di Torino, una piattaforma politica che è stata accolta con attenzione e interesse anche in ambienti economici, sociali e culturali da tempo critici nei riguardi del centrosinistra. Non penso affatto che sia l’unica piattaforma possibile e sono convinto che tutte le candidature che sono state avanzate rappresentino una ricchezza. Al tempo stesso credo che il Paese si aspetti dalla nostra competizione un confronto chiaro e trasparente sui grandi temi che riguardano il suo presente e il suo futuro, come quelli che ho cercato di affrontare da Torino in poi: il rapporto tra sviluppo e ambiente, la necessità di un nuovo patto tra generazioni per la sostenibilità del nostro welfare e di un nuovo patto fiscale, il difficile rapporto tra immigrazione e sicurezza, la sfida della società della conoscenza, la necessità di un incisivo pacchetto di riforme elettorali e istituzionali. Tutti noi, credo, abbiamo il dovere di dire come la pensiamo su questi e su altri temi. Per quanto mi riguarda sono favorevole a procedere diversamente rispetto alle primarie che designarono Romano Prodi come candidato premier dell’Unione e a dar vita ad un confronto pubblico sulla base delle regole che ci siamo dati e con pari dignità di tutti i candidati.Allo stesso modo, ci accomuna il dovere di favorire, attraverso lo strumento degli apparentamenti tra candidati alla segreteria e liste per l’assemblea costituente, l’elezione di una platea che sia davvero rappresentativa del grande popolo del Partito democratico. Ci accomuna dunque il dovere di adoperarci per far nascere liste che vedano il mescolarsi delle culture politiche, un forte rinnovamento generazionale che si accompagni al riequilibrio di genere e la presenza, accanto ai dirigenti politici dei due partiti, Ds e Margherita, che hanno avuto il merito di rendere possibile la nascita del Pd, di tanti amministratori eletti direttamente dai cittadini e soprattutto di una vasta rappresentanza del mondo del lavoro, della cultura, delle professioni, del volontariato e dell’associazionismo.
Le regole approvate dal Comitato dei 45 ci chiedono di dar vita, come è giusto e doveroso, ad una campagna elettorale sobria, che privilegi l’uso di mezzi alla portata di tutti ed eviti una ulteriore lievitazione dei costi della politica che risulterebbe inaccettabile agli occhi della stragrande maggioranza dei cittadini. Del resto, non abbiamo bisogno di farci conoscere: la storia di ciascuno di noi è nota e parla da sé. Da parte mia, a queste regole e a questi criteri di condotta mi atterrò con scrupolo.Un’ultima considerazione. La nascita del Pd rappresenta uno degli appuntamenti di maggior rilievo della storia politica italiana. Davanti a noi ci sono immense possibilità, grandi potenzialità. So bene però, perché conosco il nostro passato, che a non farci mai difetto è stata una speciale capacità di farci del male da soli, spesso proprio nei momenti più importanti e carichi di opportunità. Voglio credere che il Pd sarà la terapia giusta, che potrà guarirci da questa sindrome. Dipenderà da ciascuno di noi. Dai nostri comportamenti, dalle nostre parole, dipenderà il grado di apertura del Partito democratico, la sua capacità di coinvolgere gli italiani e di conquistare il loro consenso, la profondità del suo segno di novità, che verrebbe meno se a dominare fossero invece logiche improntate a personalismo, protagonismo o correntismo. Logiche vecchie e piccole che finiscono con l’allontanare chi non le vuole condividere. Ma sono certo che non sarà così. Sono certo che tutti insieme sapremo animare una competizione che potrà segnare una tappa fondamentale nel cammino di riforma democratica dell’Italia.
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