domenica 28 ottobre 2007

Il nuovo partito che rompe con il '900

EUGENIO SCALFARI

Faceva senso assistere ieri all'assemblea costituente del Partito democratico avendo ancora negli occhi l'aula del Senato riunita per dodici ore di seguito e scossa da un piccolo ma continuo maremoto di voti e controvoti. Faceva senso la nascita d'un partito fondato da 3 milioni e mezzo di persone - fatto mai accaduto nella storia europea - rispetto alle pervicaci rissosità di partiti-mosca che stanno devastando la maggioranza parlamentare e che, tutti insieme (sono poco meno d'una dozzina) rappresentano il 5 per cento dei consensi elettorali.

All'assemblea costituente di Milano (quasi metà dei suoi delegati erano donne) aleggiava una richiesta di unità, onestà, competenza, innovazione. Si è parlato di passato e di presente ma soprattutto di futuro. Prodi e Veltroni, in concordia tra loro, hanno confermato che con la legge elettorale vigente è impossibile andare a votare; riecheggiando le parole e il giudizio più volte ripetuto dal Capo dello Stato hanno detto che votare con la "legge-porcata" di Calderoli sarebbe una beffa per gli elettori e renderebbe per la seconda volta il Paese ingovernabile.

In Senato si votava il decreto fiscale ma i pensieri dei guastatori erano altrove. Vedevano quel voto come l'occasione per regolare i conti tra loro e nello stesso tempo lavorare "al corpo" Prodi e lo stesso Partito democratico la cui nascita è vista come minaccia all'esistenza dei micro-partiti e dei loro grotteschi apparati.

Gran parte dei "media" l'altro ieri hanno titolato sulla sconfitta parlamentare del governo, messo in minoranza per sette volte dal voto variamente congiunto dell'opposizione e dei senatori "nomadi" o "apolidi" che dir si voglia. Almeno in apparenza avevano ragione di aprire con quella notizia.

Avrebbero tuttavia dovuto valutare che l'esito parlamentare della giornata non era quello. Il decreto fiscale è stato convertito in legge senza alcuna variante rispetto al testo governativo, dopo 350 votazioni in 12 ore che l'hanno interamente confermato. Le sette votazioni incriminate sono avvenute su emendamenti marginali presentati durante il dibattito in commissione e approdati in aula, su cinque dei quali il governo si era rimesso all'assemblea per la loro irrilevanza. Nel voto finale sulla conversione in legge la maggioranza ha vinto con i soliti due voti di scarto.

Sono pochissimi e a rischio continuo di incidenti di percorso, ma questi sono appunto gli effetti nefasti della legge - porcata approvata nello scorcio della precedente legislatura dalla maggioranza di allora, ivi compresa l'Udc di Casini che oggi giustamente reclama una legge diversa.

Faccia almeno le sue scuse agli elettori l'Udc di Casini e dichiari d'aver sbagliato e di essersi pentita. Invece no, si dichiara vittima della legge che ha voluto e si dice pronta a votarne un'altra migliore ma solo se prima Prodi si sia dimesso. Dove stia la coerenza non si capisce, ma sono tante le cose di Casini che non si capiscono.

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Sul voto in Senato di giovedì scorso si è per l'ennesima volta innestata la polemica contro i senatori a vita e in particolare contro l'ultranovantenne Levi-Montalcini, bersaglio di insulti definiti giustamente indegni dal Presidente della Repubblica. Indegni perché scagliati contro una donna, contro una scienziata insignita di altissime onorificenze al merito e contro un membro del Senato che ha gli stessi diritti e gli stessi doveri di tutti gli altri componenti di quel ramo del Parlamento.

Credo che la migliore definizione di questo problema inventato dal centrodestra l'abbia data Oscar Luigi Scalfaro nell'intervista di ieri al nostro giornale: il voto dei senatori a vita non appartiene ad alcuno schieramento ma agli interessi generali del Paese e alla salvaguardia della Costituzione. Sta dunque a ciascuno di loro giudicare quali siano i temi che richiedono la loro presenza in aula e determinano il loro voto.

Ha perfettamente ragione Scalfaro. I senatori a vita Andreotti, Colombo, Levi-Montalcini ritengono evidentemente che l'approvazione della Finanziaria e dei suoi collegati sia un esito conforme all'interesse generale e per questo partecipano a sedute snervanti. Penso che così debbano fare anche gli ex Presidenti della Repubblica che siedono a vita in Senato a meno di eccezionali motivi di impedimento.

Dovrebbero farlo anche per solidarizzare con la senatrice Levi-Montalcini; affiancarla nel voto è la maniera più efficace per manifestarle solidarietà. Mi auguro perciò che non deluderanno le nostre attese; dopo tutto è in gioco una legge fondamentale per l'economia del Paese; la sua caduta produrrebbe danni assai gravi all'economia italiana e al credito di cui per fortuna ancora godiamo in Europa e nel mondo.

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Il discorso di Veltroni all'assemblea del Pd ha, mi sembra, ha soddisfatto pienamente le aspettative di milioni di cittadini che hanno votato per lui e per il nuovo partito e per i tanti altri milioni che guardano con fiduciosa attesa alla sua crescita nella realtà sociale e politica. Ha ribadito il programma già toccato al Lingotto di Torino quando accettò la candidatura; ha riaffermato che il Pd si muoverà nel segno dell'innovazione e della discontinuità; infine ha ricevuto da Prodi e dall'assemblea il mandato di negoziare con tutte le altre forze politiche una nuova legge elettorale che ci liberi dalla situazione attuale.

Ma è evidente che d'ora in avanti le posizioni del Pd e di Walter Veltroni avranno un peso determinante sulle decisioni del governo, sulle delicate questioni dell'economia, della fiscalità, della giustizia, delle liberalizzazioni, dell'istruzione. Nonché sulle questioni eticamente sensibili, come oggi si definiscono quelle che coinvolgono anche il rapporto tutt'altro che facile tra lo Stato e la Chiesa.

Certo Veltroni non deciderà da solo; avrà una squadra e avrà addosso gli occhi di quei tre milioni e mezzo di cittadini che hanno votato Pd per poter partecipare alle decisioni.

Qui viene acconcio parlare della discontinuità evocata dal nuovo segretario. Che cosa voleva dire Veltroni con quella parola? Discontinuità rispetto a chi e a che cosa? Veltroni l'ha chiarito ma giova ripeterlo perché si tratta di un punto essenziale. Discontinuità del Pd rispetto all'organizzazione dei partiti di massa del Novecento: la Dc, il Pci, il Psi e i partiti piccoli e piccolissimi che con questi tre maggiori hanno convissuto intrecciando con essi le loro vicende.

I partiti del Novecento erano costruiti sul territorio, avevano una struttura gerarchica piramidale, le correnti proliferavano e si finanziavano autonomamente assumendo forme di sotto-partiti veri e propri sia pure nell'ambito d'un contenitore comune. Questa è stata la storia della partitocrazia, della cosiddetta costituzione materiale con la quale i partiti soffocarono lo spirito e la lettera della Costituzione repubblicana degradando e occupando le istituzioni, nessuna esclusa, a cominciare dalla massima carica dello Stato. Gran parte delle cause che portarono alla fine di quel sistema fu proprio la degenerazione partitocratica, i finanziamenti illeciti, la corruzione elevata a metodo accettato e legalizzato.

La Seconda Repubblica nacque per ricostruire l'effettiva rappresentatività dei partiti e il loro nesso tra la società e le istituzioni, ma ha mancato questo obiettivo.

Gli errori sono stati tanti e vanno equamente ripartiti, ma l'errore di fondo è stato per l'appunto la persistenza della vecchia forma-partito gerarchica, burocratica, correntizia.

Questo è dunque il punto sensibile sul quale Veltroni ha deciso di operare una sorta di rivoluzione riservando ai tre milioni e mezzo di cittadini-fondatori del Pd un ruolo di decisiva partecipazione attraverso la scelta dei dirigenti regionali e di tutte le candidature ad incarichi pubblici nazionali, regionali, locali. Accanto ad essi una rete di "volontari della politica" cioè di militanti dedicati all'organizzazione esecutiva e all'attivazione di associazioni tematiche per l'approfondimento degli argomenti e la proposta di nuove idee e iniziative.

Se come sembra questa sarà la forma-partito dei democratici è lecito prevedere che anche altre forze politiche saranno indotte a farla propria creando una generale e benefica innovazione nella società politica italiana e probabilmente europea.

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Debbo, per finire, dedicare l'attenzione che merita al discorso pronunciato venerdì dal Governatore della Banca d'Italia all'Università di Torino; un discorso sull'economia italiana pieno di dati e di riflessioni.
I resoconti giornalistici e i primi commenti si sono concentrati su alcuni punti salienti di quel discorso: crescita frenata e insufficiente dei consumi negli ultimi quindici anni; salari ai lavoratori dipendenti troppo bassi rispetto ai livelli salariali di Francia, Germania, Gran Bretagna; troppa bassa produttività; disparità salariali tra vecchi e giovani; troppo lunga permanenza dei figli nelle case paterne; cattiva istruzione nelle scuole superiori; necessità di investire nel "capitale umano"; età pensionabile troppo bassa; maggiore flessibilità nel mercato del lavoro.

Su alcuni di questi punti c'è stata una convergenza molto ampia, su altri i sindacati hanno eccepito. Montezemolo ha plaudito su tutto, compreso il punto sui bassi salari e sui loro effetti negativi nella crescita del Paese.

Una sola osservazione sull'importante adesione di Montezemolo al Draghi-pensiero: il presidente della Fiat poteva risparmiarsi di portare come esempio ai governi la vittoria della Ferrari. Anche Berlusconi si avvale spesso delle Coppe vinte dal Milan come strumento di pressione politica. Speravamo che Luca Montezemolo fosse consapevole che usare lo sport come asset politico è populismo allo stato puro.

Ma torniamo al Draghi-pensiero. Ci sono molti altri elementi e cifre che il Governatore ha offerto alla riflessione pubblica. Per esempio: il reddito dei giovani è migliore di quello dell'età di mezzo (33-55 anni); tuttavia i salari d'ingresso italiani sono nettamente più bassi degli altri Paesi europei presi come riferimento; gran parte dell'aumento della produttività, peraltro insufficiente, è stata assorbita dai profitti anziché dai salari.

Ma il punto più importante riguarda la precarietà. Draghi punta ad una maggiore flessibilità del lavoro ma aggiunge che la precarietà è la causa principale della insufficiente crescita dei consumi. Sì alla flessibilità dunque, ma no alla precarietà: sembra il ricalco del programma di Prodi, anche se Draghi non l'ha detto.

Infine: dove trovare le risorse per rendere praticabile il Draghi-pensiero? Il Governatore esclude ovviamente ulteriori aumenti della tassazione e raccomanda un taglio radicale della spesa, ma in un altro punto del suo discorso afferma che un'altra delle cause che frenano la domanda interna deriva dal timore di tagli di spesa che diminuiscano i servizi fondamentali e l'occupazione. Allora dove bisogna tagliare? Se le tante esortazioni fossero anche confortate da indicazioni concrete di terapia ciò sarebbe utile alla discussione che, fatta in questo modo, finisce per somigliare a invocazioni a Padre Pio e a miracolosi santi consimili.

Post scriptum. Sono stato ieri al funerale di Pietro Scoppola svoltosi nella chiesa di Cristo Re a Roma in viale Mazzini. C'erano almeno mille persone, intente e commosse. Officiava il cardinal Silvestrini insieme a tutto il capitolo della parrocchia.

Non entravo in quella chiesa da settant'anni; la frequentai da bambino e mentre assistevo alla messa funebre e pensavo all'amico scomparso sono anche riandato a quegli anni così lontani della mia infanzia devota.

La folla assiepata nei banchi e nelle navate rappresentava un campione autentico di cattolici ferventi, animati dalla fede e da un impegno civile ammirevole. Lo dico perché conosco molti di loro e so di quell'impegno e di quella fede responsabile e non bigotta.

Si sono tutti comunicati. L'intera folla presente ha preso l'eucaristia. Più d'uno si è avvicinato a me per dirmi che preferiscono frequentare i non credenti sinceri piuttosto che i falsi cattolici.

Il cardinale ha parlato benissimo e così pure, con brevi parole, il parroco della chiesa. Figli e nipoti del morto si sono avvicendati con letture e pensieri appropriati e commossi.

Ho avuto la sensazione di stare con persone perbene, moralmente, intellettualmente e professionalmente perbene. Da non credente mi ci sono trovato a mio agio. Mi hanno dato fiducia nel futuro. Per questo rinnovo il mio ringraziamento alla memoria di Pietro Scoppola, sicuro che i cattolici presenti in quella chiesa e i tanti simili a loro proseguano l'opera sua.

(da la Repubblica, 28 ottobre 2007)

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