martedì 2 ottobre 2007

E' il Mediterraneo il nuovo crocevia mondiale del secolo, il Sud ne deve approfittare

Egregio Direttore,
ho scelto con convinzione Bari come il luogo più adatto per accogliere domani la riflessione che con Dario Franceschini e Massimo D’Alema dedicheremo alla politica internazionale del Partito Democratico.
Il Mediterraneo è oggi, fuori da ogni retorica, una chiave di lettura per capire le sfide politiche, economiche e culturali che attendono l’Italia, poiché gli straordinari fatti che qui stanno accadendo ci offrono un’occasione storica per far diventare questo mare il nuovo hub mondiale del secolo e l’Italia il perno e il centro di questo nuovo equilibrio. Il mare nostrum - come lo chiamavano i romani - è il più grande mare "chiuso" del mondo: 2,5 milioni di kmq, poco meno dell’1% delle acque del pianeta sulle quali però passa il 15% dei traffici marittimi globali, grazie alla rinata centralità di Suez e alla crescita impetuosa delle economie orientali. Vi si affacciano ventitre Paesi con una popolazione di circa 430 milioni di persone, un numero che si è triplicato in meno di un secolo e, nonostante le crisi in Iraq, Libano e Palestina, il Pil di questa regione cresce nel 2007 ad una media del 6,3%, il tasso più elevato degli ultimi dieci anni, pur con disparità enormi; sui 4.000 miliardi di dollari di ricchezza prodotta, la quota dei cinque Paesi dell’Unione Europea è oltre il 90%, con un differenziale procapite da 1 a 30 fra il Paese più ricco e quello più povero. Il Mediterraneo è marcato da forti differenze e diviso tuttora da molti conflitti: è la principale zona di smistamento dell’immigrazione clandestina, una piaga per la quale, solo nello scorso agosto, il mare ha restituito 243 corpi di migranti che hanno cercato di raggiungere l'Europa, 161 dei quali annegati nel canale di Sicilia; da qui transitano nuove minacce come il terrorismo di matrice islamica che si annida e cresce nella regione del Maghreb; infine, l’accesso alle risorse idriche continua a dividere un Paese dall’altro e se prospera il commercio fra l’Europa e ciascun Paese della sponda sud, non esiste una vera integrazione dei Paesi africani fra loro. Mediterranea è l’acqua che bagna le coste di zone non ancora pacificate, i Balcani, Cipro, Siria, Libano. Non è dunque tutto facile. Anche Pavel Matvejevic ci ammonisce quando dice “i parametri con i quali al Nord si osservano il presente e l’avvenire del Mediterraneo non concordano con quelli del Sud. Le griglie di lettura sono diverse. La costa settentrionale del Mare Interno ha una percezione e una coscienza differenti da quelle della costa che sta di fronte. Il mare stesso assomiglia sempre di più a una frontiera che si estende dal Levante al Ponente per separare l’Europa dall’Africa e dall’Asia Minore”.
La nostra politica così ha davanti due alternative: considerare il Mediterraneo una questione di sicurezza, la frontiera meridionale dell'Unione sulla quale attestarsi per difendersi dai flussi migratori, dal terrorismo internazionale, dalle attività illecite; oppure pensare il Mediterraneo come una nuova area di cooperazione in cui stabilire relazioni speciali, una politica regionale che coinvolga tutte le regioni dal Maghreb alla Turchia. L’Italia è forte e sicura se esiste un circuito euro-mediterraneo di cui noi siamo parte e perno. E’ debole e insicura se il Mediterraneo diventa solo una faglia fra civiltà. La prima sfida è dunque di ordine culturale. Se il Mediterraneo è il luogo dove si incontrano Europa e Islam, agire affinché questo incontro non divenga scontro è la nostra priorità. L’Islam che noi italiani incontriamo è primariamente mediterraneo: una parte di quei musulmani che oggi sono europei hanno ottenuto il passaporto del Paese di accoglienza, ma nazionalizzazione formale non significa di per sé integrazione. Ricostruire uno spazio mediterraneo ci permetterà di imbrigliare l’immigrazione selvaggia da sud, di sottrarre le giovani generazioni di musulmani dalla fascinazione dei predicatori d’odio, di trovare una nuova funzione geopolitica dell’Italia nell’Unione Europea come alfiere dell’integrazione. E’ decisivo proseguire con il dialogo religioso, perché il Mediterraneo ha affrontato la modernità in ritardo e non ha conosciuto la laicità in tutti i suoi bordi. E’ importante il rafforzamento del circuito delle Università delle due sponde per formare una classe dirigente dai valori comuni.
Per dare solidità a questa politica occorre anche una diversa struttura istituzionale. L’Italia deve promuovere una Comunità Euro-Mediterranea, sviluppando la dimensione dei diritti umani e la promozione della democrazia, affiancare la recente iniziativa francese - magari assieme alla Spagna - per integrare meglio le nazioni nordafricane e mediorientali in una politica regionale, promuovere da subito all’interno dell’UE una cooperazione rafforzata in materia di immigrazione con gli altri Paesi rivieraschi. Anche l’impegno dei nostri 2.500 uomini impegnati nella missione Unifil in Libano, il costante dialogo con i governi arabi moderati e l’amicizia verso il popolo israeliano e il popolo palestinese sono il segno di un’attenzione al Mediterraneo e il marchio più riconoscibile di una politica estera fortemente cambiata sotto la guida di Romano Prodi e Massimo D’Alema.
Negli ultimi dieci anni, il commercio euro-mediterraneo è più che raddoppiato e le esportazioni mediterranee verso l’Europa sono addirittura triplicate. L’Italia realizza oltre 50 miliardi di interscambio commerciale, ospita più di mezzo milione di lavoratori mediterranei e ha visto nascere circa 30.000 nuove aziende che hanno come titolare un ex immigrato dai Paesi della sponda sud. Per potenziare gli investimenti diretti, per aggredire una disoccupazione ancora troppo alta che spinge a emigrare, per diffondere un ceto medio che dia stabilità a quei Paesi, occorre rilanciare con convinzione il progetto di una Banca di sviluppo euro-mediterranea con la missione di sostenere le piccole e medie imprese, facilitare l’accesso al mercato dei capitali internazionali ed arrivare ben strutturati al traguardo della zona di libero scambio euro-mediterranea (ZLS), prevista a partire dal 2010. Secondo un recente studio, la ZLS determinerà una crescita del traffico globale di oltre il 16%, con valori compresi fra il 10% per la riva nord (Spagna, Francia e Italia) e il 20% per la riva sud.Lanciare il Mediterraneo come crocevia, hub mondiale del nuovo secolo, richiede infine investimenti industriali e infrastrutturali coraggiosi sui porti, sulla logistica, sull’intermodalità, sulla realizzazione di corridoi nord-sud che si leghino ai corridoi est-ovest progettati dall’Unione Europea. Ci sono potenzialità straordinarie nei servizi, nel traffico delle merci, nella difesa dell’ambiente, nelle rotte dell’energia.Strabone, geografo greco del I secolo a.C scriveva che “di solito è il mare che disegna la terra, e alla terra dà una forma”. Il Mediterraneo può dunque disegnare una nuova politica per il futuro dell’Italia nel mondo nuovo e il Partito Democratico si impegnerà affinché questa occasione venga giocata fino in fondo.
Walter Veltroni
(da la Gazzette del Mezzogiorno, 1 ottobre 2007)

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