Veltroni risponde alle lettera pubblicata da Mario Pirani su "La Repubblica"
Caro direttore, la lettera aperta di Mario Pirani del 30 luglio contiene molti argomenti importanti. Ne vorrei discutere come in un epistolario pubblico. Una forma che va sparendo, almeno per due ragioni.
La prima è la velocità di una società che riesce a comunicare in forme inedite nella storia dell'umanità ma che sacrifica alla quantità e alla rapidità la possibilità di strutturare pensieri lunghi nella relazione tra le persone: di più ma meno, si potrebbe dire. La seconda ragione è legata alla difficoltà della politica di rendersi disponibile alla ricerca e al confronto. Il che comporta la consapevolezza del proprio ruolo come servizio, forse il più alto, nei confronti della comunità. Mi è capitato di leggere recentemente dei meravigliosi carteggi che illuminano sulla storia e i sentimenti dell'Italia che è stata prima di noi. Quello tra Giorgio La Pira e Amintore Fanfani e quello tra Giovanni e Alberto Pirelli. I protagonisti si scambiavano il loro sguardo su eventi e cambiamenti profondi e cercavano il senso delle cose e dei loro gesti, delle loro decisioni. Scriversi, leggersi, capirsi. Cioè dialogare, con l'umiltà di pensare di non avere già pronte tutte le risposte a tutte le domande. Specie in un tempo di meravigliosi cambiamenti come quelli che viviamo. Permettimi di partire da qui. Dalla decisione di Pirani, manifestata dalla firma in calce all'appello per la mia candidatura per il Pd, di tornare ad aderire ad un partito, dopo anni di esclusivo impegno civile espresso dalle sue posizioni e dai suoi articoli. Con la coscienza che questa sia la occasione decisiva per dare a questo paese ciò che non ha mai avuto: una grande forza maggioritaria della innovazione e della giustizia sociale, libera da ideologie, crocevia di culture diverse, "luogo" di una politica sobria e ambiziosa. Una forza capace di restituire unità all'Italia. Perché il nostro paese si va frammentando. Negli anni successivi alla guerra e durante i Sessanta tutto il paese sentiva di crescere. Capiva che l'arrivo della 500 nelle famiglie e la costruzione delle autostrade corrispondevano al medesimo segno: lo sviluppo di possibilità individuali e della ricchezza della nazione. Perché non c'è alternativa, davvero, a questa comunità di destino. Perché è una illusione pericolosissima l'idea, sostenuta da certa destra, che la soluzione sia scavarsi una nicchia individuale, farsi furbi, difendersi coltivando l'odio nei confronti dello stato, del "vicino sociale", dell'immigrato. Una società chiusa è un paradosso intollerabile nel tempo della globalizzazione. E genera un paese fermo, perché privato di quel motore fondamentale che è la fiducia nel futuro e la voglia di crescere insieme. Ma anche la politica è così, oggi. La frammentazione è diventata parossistica, con partiti talvolta pura proiezione di leader più o meno ambiziosi. Partiti piccoli, piccolissimi, talvolta persone che hanno nelle loro mani il destino del paese. L'egoismo politico genera quello sociale. Se il cittadino vede dall'alto messi in secondo piano gli interessi generali perché mai dovrebbe farsene carico? Il Pd dovrà assumere questa grande sfida: fare una Italia del nuovo millennio, con governi stabili, istituzioni che decidano, una società civile forte. Dovrà dare a chi abbia merito e talento la possibilità di dimostrarlo, dovrà smantellare il circuito perverso degli interessi corporativi e della instabilità politica. Dovrà restituire fiducia ai nuovi italiani, dando loro scuole e università che funzionino e una prospettiva di vita che rimuova il principale loro problema, la precarietà della loro vita. É per questo, solo per questo che vale la pena di provarci. Pirani avrà letto ciò che ho scritto nel "decalogo" di riforme istituzionali che ho pubblicato sul Corriere della Sera. Penso che si debba ridurre seriamente il numero dei parlamentari e dei rappresentanti nelle istituzioni locali, che si debba avere una sola Camera che legifera, che il governo debba avere tempi certi per l'approvazione o il diniego ai suoi progetti di legge. Penso che la legge di Bilancio debba essere approvata o respinta, in aula, dopo un attento esame della commissione competente... Penso cioè ad una democrazia che funzioni, con un sistema elettorale che faccia votare gli italiani, e scegliere il governo, sulla base di due proposte chiare e coese programmaticamente. Che poi chi ha vinto governi e non riservi ogni giorno al paese la suspence di sapere se domani ci sarà ancora la legislatura. Insomma quello che succede negli altri paesi europei, nulla di più e nulla di meno. E' chiedere troppo? E non andrebbe chiesto in primo luogo al Parlamento di por mano con urgenza alle riforme elettorali e costituzionali sulle quali stanno lavorando le apposite commissioni? Nella scorsa legislatura fu approvata in poche settimane una orrenda riforma elettorale, fatta per impedire di governare. Dopo un anno è matura una decisione su queste materie, ed è necessario mettere alla prova la volontà della opposizione. Poche, mirate innovazioni alla parte seconda della Carta e una nuova legge elettorale che restituisca ai cittadini il potere di scegliere il governo e al governo la possibilità di decidere. La politica deve, poi, ritrovare il suo spazio naturale. Che è quello del rapporto con la società, con le spinte e i movimenti di opinione, con le forze del sapere e del lavoro, con le culture della innovazione e dell'ambientalismo. La politica deve saper ospitare, dentro di sé e nelle istituzioni, le energie migliori del paese. La politica è anche una professione. Se esercitata bene, tra le più nobili che esistano. Ma non può diventare un club esclusivo. Ricordo un Parlamento in cui sedevano Natalia Ginzburg e Leonardo Sciascia, Claudio Napoleoni, Roberto Ruffilli e Gaetano Arfè. Ricordo Alberto Moravia a Strasburgo e Vittorio Bachelet nel consiglio comunale di Roma insieme a Lucio Lombardo Radice. La politica si deve nutrire della bellezza dell'apertura, della competizione delle idee. E deve saper conoscere anche il suo limite. Nel "suo" decalogo di maggio Pirani diceva cose importanti su due temi centrali: le Asl e la Rai. Rivendicava la necessità che si tenessero lontani due gangli fondamentali della vita nazionale dalla invadenza della politica. Concordo con lui. E vado oltre. Per fare il manager di una Asl occorrerà avere comprovate doti di conoscenza e esperienza manageriale di settore. E qualcuno dovrà certificarle. La sua idea di un concorso che formi una graduatoria e una rosa alla quale le Regioni possano attingere mi sembra giusta. Per la Rai c'è da chiedersi se sia giusto, oggi, che questa azienda abbia un consiglio di amministrazione che finisce, per la fonte di nomina e per il suo essere "piccolo parlamento", con il gestire l'azienda. Con il duplice rischio di una duplicazione di funzioni rispetto alla Commissione di vigilanza e di un oggettivo indebolimento e precarietà dei vertici aziendali e del senso di appartenenza di dirigenti e personale. Far scorrere aria nel paese, fare una Italia in cui i partiti decidano le sorti della nazione, ma non le nomine di chi deve garantire la salute e il Pd dovrà essere pienamente coerente con questo modo di intendere e praticare la politica. Il Pd dovrà essere protagonista di un allontanamento della politica dalla gestione diretta a favore delle competenze e di criteri trasparenti e obiettivi. Rifondare una etica della responsabilità e il senso degli interessi nazionali. Ridare bellezza alla politica, aprendola e rendendo viva, come stiamo facendo con le primarie, la vita democratica dei partiti. Così immagino il Pd, come una casa aperta, con donne finalmente riconosciute nel loro valore e nella differenza della loro cultura, con ragazzi ai quali non si chieda di appartenere ad una corrente ma di sentirsi protagonisti di un nuovo modo di fare e intendere la politica. Lieve e ambiziosa, non mi vengono altre parole. Credo che la decisione coraggiosa di due grandi partiti di superare se stessi sia un passo decisivo in questa visione. Dobbiamo ora mescolare fino in fondo identità e culture. Non sarà cosa di un giorno o di un'ora. Ma la fortuna di questo progetto è qui: la costruzione di una nuova e più ricca identità culturale e politica, quella dei democratici italiani. E una nuova voglia di futuro. Lo sa Pirani meglio di altri. Lui che hai vissuto il grande mutamento italiano e le occasioni perdute. Bisogna avere voglia di futuro, bisogna non rimpiangere il passato, bisogna vedere le inedite possibilità che la scienza mette oggi a disposizione di tutti noi per vivere meglio, tutti. Questo è il compito della politica: favorire la crescita, farla giusta socialmente, dare coscienza di sé ad un paese meraviglioso come il nostro. E amare gli italiani. Che hanno sempre saputo - dalla lotta al terrorismo alla genialità dei nostri imprenditori, dalla reazione alle crisi economiche più dure al talento dei nostri giovani scienziati - mandare un messaggio alla politica e alle istituzioni. Penso a Giorgio Ambrosoli, a Ninni Cassarà, a Marco Biagi, a Massimo D'Antona, a Giuseppe Impastato, a Don Andrea Santoro. Penso agli italiani che vorrebbero uno stato amico, di cui sentirsi con orgoglio parte. Da rispettare e da sentire al fianco. E' a loro che dobbiamo pensare, solo a loro.
Walter Veltroni
(5 agosto 2007)
Nessun commento:
Posta un commento