domenica 30 settembre 2007

Appuntamenti prima del 14 ottobre

La Fondazione "I Care" onlus assieme al Comiato per il PD di Fucecchio organizzano:
PER UN PIANETA VIVIBILE E GIUSTO.
Proiezioni ed incontri presso l'Auditorium La Tinaia Fucecchio.

  • Martedì 2 ottobre ore 21.30: Idee per la marcia per la Pace Perugia - Assisi. Proiezione del film: "Il dottor Stranamore", di S. Kubrick
  • Lunedì 8 ottobre ore 21.30: Idee per un paese sostenibile: "L'ambiente e i cambiamenti climatici". Partecipano: Bernardo Gozzini (climatologo dell'Istituto Reg. Lamma), Pino Di Vita (Resp. Reg. Ambiente DS, Antonio Marrucci (Presidente REVET), Coordina Alessio Sabatini.

Le liste nazionali collegate a Veltroni




www.lanuovastagione.it

Maria Falcone, Ennio Morricone, Eva Cantarella, Amos Luzzatto. Con Piero Fassino, Francesco Rutelli, Massimo D’Alema, Beppe Fioroni, Linda Lanzillotta, Barbara Pollastrini, Vittoria Franco. Ecco la lista Democratici con Veltroni, lista che riassume nello slogan "E’ tempo di buona politica" l’impegno ad arricchire la migliore esperienza politica italiana con i più innovativi contributi della società civile.“Una lista di grande apertura e respiro – dicono i promotori -, che porterà nell’Assemblea Costituente un gran numero forze vive ed energie trainanti della società italiana”.
Accanto ai nomi dei ministri Bersani, Chiti e Gentiloni, ci sono rappresentanti del mondo della cultura, come Massimiliano Fuksas, Francesca Sanvitale, Aldo Schiavone, Enzo Cheli e Salvatore Veca, dello spettacolo, come Pamela Villoresi e Neri Marcorè, dell’impresa, come Marina Salomon e Massimo Carraro, nomi della Resistenza e dell’impegno come l’ex deportato Piero Terracina. La lista, come dicono i promotori, “nasce dalla confluenza delle culture politiche del riformismo italiano, fondative dell’Ulivo, che hanno dato avvio alla costituente del Partito Democratico, e dall’incontro fecondo con l’associazionismo, il mondo del lavoro, delle professioni, della cultura, dell’impegno civile”.
Ecco quindi il significato di una lista che ha tra i propri candidati non solo i coordinatori di Ds e Margherita Maurizio Migliavacca e Antonello Soro, e i vicepresidenti dei deputati e dei senatori dell’Ulivo Marina Sereni, Gianclaudio Bressa e Nicola Latorre, ma anche l’architetto Vittorio Gregotti e lo scrittore Marco Lodoli. Non solo il presidente della Commissione Ambiente della Camera Ermete Realacci, i senatori Marco Follini e Goffredo Bettini, e il presidente della Commissione Sanità del Senato Ignazio Marino, ma anche il regista Giuliano Montaldo e lo scrittore Valerio Massimo Manfredi.La lista, che sostiene la candidatura di Walter Veltroni a segretario nazionale del Partito Democratico, si riconosce “nel profilo ideale e programmatico indicato da Veltroni a Torino. Vogliamo fare del Partito Democratico – si legge nella dichiarazione di intenti - il grande campo sociale e politico dell’innovazione e del cambiamento, capace di ridare speranza e voglia di impegnarsi a tanta parte della popolazione italiana”.“Vogliamo costruire – è infine il messaggio dei Democratici con Veltroni - un Partito Democratico forte e popolare, dove ognuno conta davvero e le decisioni sono trasparenti, capace di dare voce alle speranze delle nuove generazioni”.








www.lanuovastagione.it/conveltroni/

Il Manifesto


Il partito di chi vuole bene all’Italia e crede nel suo futuro.Il partito dell'interesse generale, della coesione sociale, dello sviluppo sostenibile.
Il partito delle città e dei territori decisi a coltivare le loro diverse vocazioni ma orgogliosi del loro essere italiani e consapevoli che questa comune appartenenza, come quella più ampia alla casa europea, sono un patrimonio irrinunciabile e un insostituibile valore aggiunto, nonché la base di un moderno federalismo solidale.
Il partito della presa di coscienza che neutralizzare i cambiamenti climatici è la prima missione di un moderno e credibile riformismo.
Il partito dell’ambiente, dell’innovazione, della qualità italiana. Questo deve essere per noi il partito democratico.
Leggi il manifesto completo






www.asinistraperveltroni.it

Leggi il Documento programmatico della lista

I temi che solleviamo e le proposte che avanziamo costituiscono oggi il nostro contributo alla riscrittura del “Manifesto del partito democratico”. Sono un contributo ed una piattaforma politica per le liste della Sinistra riformista per Veltroni, che concorreranno alle elezioni dell’Assemblea Costituente del Partito democratico. Le liste di donne e di uomini, che nasceranno nelle circoscrizioni sulla base di convergenze e di scelte legate ai diversi territori, avranno in comune un nucleo di idee e programmi, espressione della sinistra riformista, della sua storia, della sua capacità di rappresentare i ceti popolari e la parte più avanzata dell’intellettualità italiana.


Leggi i 7 punti



Su tali presupposti vi chiediamo di aderire e sostenere la Lista “A Sinistra per Veltroni"

venerdì 28 settembre 2007

Alfabeti a confronto

Proponendo il nostro Alfabeto Democratico alla 1 Festa del PD del Circondario Empolese Valdelsa, abbiamo cercato di stimolare la riflessione delle persone riguardo al nascente partito.
Il nostro obiettivo era soprattutto quello di spostare l'attenzione sui contenuti, sulle tematiche, sui problemi, sui limiti della politica, dell'economia, della società italiana con cui il Partito Democratico dovrà necessariamente confrontarsi.
Abbiamo così dato la possibilità, a chi lo volesse, di poter esprimere per ogni lettera dell'alfabeto una parola; abbiamo distribuito delle cartoline che dovevano essere compilate indicando una Parola Democratica.
Una volta compilate, le cartoline dovevano essere imbucate nelle urne poste all'interno del nostro stand: un'urna per ogni lettera dell'alfabeto.
Nel corso dell'ultima sera, infine, abbiamo aperto le urna e resi noti i risultati; grazie alla grande partecipzione della gente (220 cartoline in totale) ne è venuto fuori un secondo alfabeto.

L'Alfabeto della Festa del PD di Montelupo risulta diverso in molti suoi punti se comparato al nostro Alfabeto Democratico. Confrontando le lettere dei due alfabeti compaiono, in entrambi, le parole Ambiente, High Tech, Integrazione culturale, Merito, Trasparenza, Valori, Welfare e la parola Partecipazione (anche se, per precisione, nel nostro alfabeto compare alla D di Democrazia partecipativa).
Se si guarda alle altre parole della'alfabeto, la tendenza delle persone è stata quella di dare molta importanza a parole come Onestà, Giustizia, Diritti, Etica, Qualità, Rispetto; queste parole sottolineano come sia sentita molto stringente nei cittadini la necessità di dover riformare, in primo luogo, la nostra politica e le nostre classi dirigenti.
L'alfabeto della Festa di Montelupo ci induce inoltre a sottolineare come sia necessario garantire un sistema partitico più semplice e fondato su un'ottica bipolare, dove prevalga l'unità alla divisione, le necessità collettive a quelle individuali.
Molto votate infine parole come scuola, cultura.
La parola Libertà è risultata la più votate; a seguire Legalità e Onestà.
Non sorprende che la parola Libertà sia la più votata; un cittadino che non ha la possibilità di scegliere e decidere fino in fondo è, infatti, un cittadino che, in senso più ampio, non è completamente libero o che vede comunque minacciata la propia libertà.

Società civile: è davvero meglio del Palazzo?

Presentiamo di seguito tre articoli pubblicati su la Repubblica di oggi che approfondiscono il concetto di SOCIETà CIVILE, termine che ha avuto una posizione centrale nel processo costituente del Partito Democratico.
Gli autori degli articoli, PAUL GINSBORG, FILIPPO CECCARELLI E CARLO GALLI, cercano di definirne meglio il significato.
Per leggere gli articoli clicca quì.

"Partecipiamo insieme per cambiare la politica"

Veltroni parlando ai sedicenni in occasione della manifestazione "C'è voglia di futuro" li ha esortati a farsi avanti in prima persona(ANSA)

- ROMA, 27 SET - "La politica quando diventa mestiere e' brutta come poche altre cose, ma se e' bella e' quella che ha cambiato il mondo. Partecipiamo la politica e partecipandola cambiamola". Il sindaco di Roma e candidato alla guida del Pd Walter Veltroni inneggia alla buona politica per spronare i giovani di 16 anni che il 14 ottobre potranno votare alle primarie del Pd. Veltroni denuncia i mali di certa politica, "una logica autoriproduttiva micidiale, tende a diventare una fabbrica di potere ed invece va cambiata per mostrare che il potere non e' un fine ma un mezzo necessario per fare le cose che si credono giuste".
Il sindaco di Roma, favorevole anche al voto dei sedicenni alle amministrative, ha incontrato studenti romani e di altre parti d'Italia delineando l'orizzonte del Partito nuovo. Ma non si e' sottratto dalle domande di attualita', come quella sull'antipolitica incarnata da Beppe Grillo. "Ci sono - ha spiegato il candidato alla guida del Pd - due tipi di antipolitica. Quella che da' voce al malumore ed e'manifestazione di un malessere e poi c'e' l'antipolitica della politica perche' la politica alimenta da sola certi sentimenti: e' invasiva, onnipresente, si chiude e parla un linguaggio tutto suo, nel basket si chiama il 'tagliafuori' e per di piu' parla un linguaggio in cui non ci sono ideali e valori". Lo sforzo del Pd e' per Veltroni "una politica lieve che ha meno voglia di occupare gli spazi dei consigli di amministrazione ed e' poi necessaria un autoriforma della politica perche' si metta fine alla logica che o e' bianco o e' nero e ad una carica di odio che non c'era neanche quando c'erano il Pc, la Dc e l'Msi".

giovedì 27 settembre 2007

Anche Veltroni e Manciulli votano la loro Parola Democratica

Anche Walter Veltroni, in occasione del suo discorso di venerdì 21 settembre nell'area ex mercato ortofrutticolo di Avane-Empoli, ha votato la sua Parola Democratica.
Sul cartoncino che abbiamo utilizzato per far votare le persone alla 1 Festa del PD del Circondario Empolese Valdelsa, il sindaco di Roma ha scritto la parola Speranza.
Appena terminato l'incontro cui ha partecipato anche Andrea Manciulli, candidato alla segreteria regionale del PD, e Sandra Bonsanti, presidente del Comitato regionale per Veltroni, siamo riusciti ad avvicinarci a Veltroni e a spiegargli brevemente la nostra iniziativa.
Gli abbiamo anche consegnato un piccolo libro in cui abbiamo raccolto tutte le parole del nostro Alfabeto Democratico e in cui abbiamo cercato di precisarle e definirle meglio.
Anche Andrea Manciulli ha dato il suo contributo: il segretario Ds Toscana ha votato la parola Coraggio.


Queste alcune foto della giornata









<-- Walter Veltroni mentre scrive la sua Parola Democratica
Da sinistra: Andrea Manciulli, candidato alla segreteria del PD Toscana, Walter Veltroni, Sandra Bonsanti, presidente Comitato per Veltroni Toscana -->
<-- Walter Veltroni appena arrivato
Walter Veltroni durante il suo discorso -->

martedì 25 settembre 2007

L'Alfabeto della 1 Festa del Partito Democratico del Circondario Empolese Valdelsa di Montelupo F.no

In occasione della 1 Festa del Partito Democratico del Circondario Empolese Valdelsa abbiamo dato la possibilità alle persone di poter esprimere le proprie idee nei confronti del nascente partito. Nello specifico abbiamo dato loro la possibilità di poter votare le proprie Parole Democratiche per ciascun lettera dell'alfabeto utilizzando come stimolo l'Alfabeto del Partito Democratico di Fucecchio.

Ne è venuto fuori un secondo alfabeto.

Ecco l'Alfabeto Democratico della Festa di Montelupo F.no:



Ambiente
Bipolarismo
Cultura
Diritti
Etica
Famiglia
Giustizia
High Tech
Impegno , Integrazione culturale
Libertà
Merito
Novità
Onestà
Partecipazione
Qualità
Rispetto
Scuola, Serenità, Sobrietà
Trasparenza
Unità
Valori
Welfare
Zelo, tolleranza Zero all'evasione fiscale



Ecco le parole più votate:

Libertà 8 voti
Legalità 7 voti
Partecipazione, Onestà 6 voti
Giustizia, Qualità 5 voti

Voti totali: 220

Collegio Empolese Valdelsa - Lista nazionale Democratici con Veltroni

Ecco tutti i nomi della lista nazionale Democratici con Veltroni:

Laura Cantini, sindaco di Castelfiorentino
Enrico Micheli, sottosegretario alla presidenza del consiglio
Paola Galgani, segretario Camera del Lavoro Empoli
Alessandro Nencioni, vicesindaco Montespertoli
Diletta Rigoli, segretaria Margherita Castelfiorentino
Alessio Sabatini, commerialista
Vania Pucci, attrice
Giulio Mangani, Resp. Organizzazione Federazione Empolese Valdelsa

Collegio Empolese Valdelsa - Lista Regionale Democratici con Veltroni

Ecco tutti nomi inseriti nella lista regionale Democratici con Veltroni:

Luciana Cappelli, sindaco di Empoli e presidente del Circondario
Marco Bacchi, coordinatore Margherita Empolese Valdelsa
Brenda Barnini, segretario Ds Empoli
Vittorio Bugli, consigliere regionale
Maria Grazia Maestrelli, commerciante
Diego Ciulli, consigliere regionale
Sara Matteoli, dottoranda in lettere classiche
Alessio Tavanti, avvocato
Paola Fortini, impiegata
Carlo Pasquinucci, capogruppo Margherita Empoli
Francesca Padula, segretario Ds Montaione
Foresto Mostardini, imprenditore
Caterina Cappelli, portavoce regionale studenti di sinistra
Paolo Malquori, consigliere provinciale, presidente Arci Caccia
Roberto Ceccherini, agente di commercio
Stefano Giraldi, commercialista
Valentina Picchi, consigliere comunale Cerreto Guidi

lunedì 24 settembre 2007

Legge elettorale. Veltroni: "Se ci sarà il referndum voterò si"

Veltroni: "la legge che ne uscirebbe sarebbe già meglio di quella attuale"
Spetta al Parlamento approvare in tempi brevi una legge adeguata e il piu' possibile condivisa, altrimenti saranno i cittadini ad esprimersi, con il referendum. Se vi si arrivera', io votero' si': la legge che ne uscirebbe sarebbe gia' meglio di quella attuale. E in Parlamento sarebbe poi possibile farne una ancora migliore". Lo dice il candidato alla segreteria del Pd, Walter Veltroni, in un intervento sul forum di Repubblica.it dedicato alle primarie. Secondo il sindaco di Roma, "L'Italia vive una crisi democratica senza precedenti. E' una crisi di decisione: tutti, nella nostra politica, possono mettere veti, e nessuno ha il potere di decidere. Non ne usciremo - ribadisce - senza una riforma della legge elettorale e senza riforme istituzionali". Per Veltroni "l'Italia ha bisogno di una democrazia che decida. Chi ha la responsabilita' di governare deve poterlo fare. E allora riforme istituzionali per dare piu' poteri al premier, per avere una sola Camera legislativa, per dimezzare il numero dei parlamentari. Di modelli elettorali, poi - aggiunge - ce ne sono diversi, in Europa. Si attinga ad uno di essi, avendo chiari gli obiettivi: stabilita', bipolarismo, potere di scelta nelle mani dei cittadini. Spetta al Parlamento approvare in tempi brevi una legge adeguata e il piu' possibile condivisa. Altrimenti saranno i cittadini ad esprimersi, con il referendum. Se vi si arrivera', io votero' si' - conclude - la legge che ne uscirebbe sarebbe gia' meglio di quella attuale. E in Parlamento sarebbe poi possibile farne una ancora migliore".
(AGI)

"Una politica estera per un mondo sostenibile"

L'articolo di Veltroni su La Stampa: niente scuse nella lotta alla povertà, multilateralismo, dialogo e fermezza"
Caro Direttore,
all’inizio del XX secolo la popolazione del pianeta superava di poco il miliardo di persone; in soli cento anni, il numero si è sestuplicato e due abitanti su cinque della Terra sono indiani o cinesi. E’ un mondo nuovo, che vede crescere l’aspettativa di vita degli europei di quasi tre mesi ogni anno e che registra il calo drammatico della vita media nei Paesi più poveri dell’Africa. E’ un mondo in movimento, nel quale aumenta il numero di chi viaggia per lavoro o per il piacere della scoperta ma anche chi migra all’interno dello stesso continente o fra un continente e un altro inseguendo il sogno di una vita migliore. E’ un mondo che ha rivoluzionato il senso delle distanze, avvicinando con Internet idee e persone che vivono a migliaia di chilometri ma anche separando identità che vivono fianco a fianco. Dalla caduta del Muro, il cambiamento rimane la cifra vera di questo tempo, un cambiamento che continua a stupire per intensità e rapidità, che apre orizzonti e offre opportunità, ma nasconde anche vecchie insidie e nuovi veleni. In questo tempo, il Partito democratico vuole offrire all’Italia una visione di politica responsabile e capace di mobilitare le risorse della nostra comunità nazionale, in particolare delle nuove generazioni, destinatarie domani delle nostre scelte di oggi.
Responsabilità condivise - Il mondo nuovo sarà sempre più multipolare. Ce lo conferma l’emergere della Cina come superpotenza economica ma anche politico-militare, l’affermazione dell’India con la sua democrazia e la sua modernizzazione, il ritorno della Russia, l’ascesa di Paesi leader continentali come Sudafrica e Brasile. Questo comporterà il ripensamento del ruolo dell’Europa e più in generale il ridimensionamento dell’Occidente: nuove leadership, nuovi equilibri e dunque nuove strategie. E’ per questo indispensabile, oggi più di ieri, ribadire la scelta per una politica multilaterale e l’impegno italiano nelle organizzazioni internazionali che ne sono lo strumento. Un impegno che vive anche attraverso le missioni di pace in cui l’Italia è protagonista grazie alla professionalità e alla generosità dei nostri soldati. Siamo anche convinti che per giungere davvero ad istituzioni sovranazionali capaci di gestire le nuove sfide globali, per fare divenire questi strumenti più efficaci nei risultati e più rappresentativi di questo mondo nuovo, occorra continuare a lavorare per la riforma delle Nazioni Unite e delle istituzioni finanziarie internazionali, del Consiglio di Sicurezza, per l’istituzione di un Consiglio per lo Sviluppo Umano e di uno per l’Ambiente.
Avanguardia europea - Il Partito democratico deve rilanciare in Europa il processo di integrazione politica. L’Italia ha scommesso tutta se stessa sull’Europa fin dalla sua nascita, convinta che il massimo dell’integrazione comunitaria coincidesse con il massimo dell’interesse nazionale. L’Europa massima possibile dunque, non quella minima indispensabile. L’Europa non come problema ma come prima risposta politica a chi dice che la globalizzazione è ingovernabile. Questo ci ha spinti ieri ad essere molto esigenti nella scrittura del trattato costituzionale e a lavorare ora per non disperdere la sostanza di quel lavoro, per chiedere una politica estera e di sicurezza comune, una politica di rinnovamento del modello sociale europeo, un maggiore impegno verso ricerca e innovazione. Ma se l’Europa a più velocità già esiste nei fatti, dobbiamo impegnarci per una vera democrazia europea. Se necessario, sia un nucleo forte di paesi a procedere per primo sulla strada che porta ad una vera e propria Unione politica. Una fase costituente dell’Europa politica per diventare global player, per uscire da una idea paternalistica di Europa per gli europei e giungere finalmente a un’Europa degli europei. Vogliamo scommettere fin d’ora sulla generazione figlia del programma Erasmus, estendendolo e potenziandolo fino ad arrivare a rendere normale per tutti un periodo di studio all’estero di almeno sei mesi. Le elezioni europee del 2009 avranno una grande rilevanza: noi rappresenteremo l’idea di un’Europa più forte e democratica con l’obiettivo di costruire al Parlamento e nel nostro continente un grande campo dei democratici, dei socialisti e dei riformisti, a vocazione maggioritaria.L’hub mondiale del nuovo secolo - Il Mediterraneo è tornato ad essere un grande crocevia del mondo e l’Italia può giocare la sua straordinaria posizione costruendo un circuito “euromediterraneo” che offra opportunità inedite nei trasporti, nell’uso delle risorse, dell’ambiente, dell’energia, nel governo dei flussi migratori, nel dialogo interreligioso e culturale. La nostra collocazione fa di questo mare e del nostro Paese il nuovo hub mondiale dei commerci con l’oriente e delle rotte energetiche provenienti dal Caspio, dal Golfo, dalla sponda settentrionale dell’Africa. Il Mediterraneo deve divenire il luogo del dialogo politico-culturale che ricompone le gravi fratture del nostro tempo, e l’Italia l’esempio della miglior convivenza possibile. Occorrono però programmi di modernizzazione industriale e infrastrutturale, promozione di investimenti, corridoi che leghino la sponda sud alle reti europee, sostegni alle piccole e medie imprese italiane assai adatte a diffondersi in questa area. L’iniziativa europea verso i Balcani occidentali e la Turchia per un loro futuro accesso all’Unione è nostro interesse strategico. L’Italia deve favorire le riforme in quei Paesi e la loro stabilizzazione istituzionale e sociale che resta l’unico modo per garantire il superamento dei conflitti che li hanno attraversati.Amicizia responsabile - L’Italia deve mostrare agli Stati Uniti di essere un Paese non solo amico ma utile. Alla fine della guerra fredda abbiamo perso il nostro ruolo di frontiera della frattura Est-Ovest, ma per noi il legame atlantico resta vitale poiché costruito su una comunità di valori e di principi. Dobbiamo però da un lato confermare la funzione di Paese amico poiché influente e ascoltato in Europa, dall’altro interpretare la novità possibile: la centralità del Mediterraneo, l’integrazione dei Balcani e della Turchia, il dialogo con il mondo arabo sono obiettivi che rispondono anche alla necessità di garantire la pace, la sicurezza, e la lotta al terrorismo. Infine, deve essere chiaro che amicizia e lealtà implicano, se necessario, esprimere diversità di opinioni così come negoziare pragmaticamente la propria agenda. Una cosa, ad esempio, è appoggiare il modo in cui gli Stati Uniti si seppero muovere, nel segno del multilateralismo, per intervenire in Afghanistan all’indomani dell’11 settembre, altro è “stare con gli americani a prescindere”, come è stato detto in occasione della sventurata guerra in Iraq. Tanta acriticità non serve a noi, e si è rivelata poco utile anche a loro.No excuse - Pace, democrazia e sviluppo sono obiettivi importanti per l’Italia e devono divenire una priorità per tutta la comunità internazionale. E’ in particolare in Africa che le sfide globali devono essere vinte, a cominciare dal raggiungimento degli “Obiettivi di sviluppo del millennio” fissati dalle Nazioni Unite e sui quali scontiamo un inaccettabile ritardo. Ma occorre intensificare gli sforzi per superare la tragedia del Darfur, per stabilizzare il Congo, per dare una risposta alle altre crisi come in Somalia e in Zimbabwe. Il prossimo summit euro-africano che si terrà a Lisbona dopo un’interruzione di ben sei anni dovrà produrre risultati effettivi per lo sviluppo, la prevenzione dei conflitti, l’affermazione dello stato di diritto. La lotta all’AIDS, la sicurezza alimentare, la promozione della democrazia, il sostegno alla società civile sono le priorità di un rinnovato impegno italiano nella cooperazione internazionale. Il nostro Paese possiede uno straordinario patrimonio di solidarietà e di competenze nella società civile, nelle ong e nelle istituzioni locali. E’ tempo di valorizzarlo attraverso una nuova legge sulla cooperazione e un incremento programmato delle risorse disponibili. Lottare contro la povertà, dare speranze di una vita dignitosa, rappresentano un imperativo morale e una necessità, perché le ingiustizie, oltre che inaccettabili in sé, diventano fonte di insicurezza per tutti.Fermiamo le ingiustizie - L’iniziativa per una moratoria delle esecuzioni capitali ha incontrato un grande successo che speriamo di confermare anche alla prossima riunione dell’Assemblea Generale dell’Onu. Il sostegno europeo all’azione italiana premia la costanza delle organizzazioni che da tempo si battono per questo obiettivo, ma anche l’impegno del Parlamento, della diplomazia e del Governo. E del resto la nostra elezione nel Consiglio di Sicurezza e poi nel Consiglio sui Diritti Umani riconosce sia l’attivismo italiano che il nostro tentativo di valorizzare comunque un coordinamento europeo che operi per un multilateralismo efficace. L’affermazione dei diritti umani è un faro che deve orientare la nostra azione: la Corte di Giustizia e il Tribunale Penale Internazionale devono essere il centro di un sistema che garantisca la punizione dei crimini più gravi, ma anche gli accordi di cooperazione siglati dal nostro Paese dovranno contenere clausole serie relative alla tutela dei diritti umani. Cambiare aria per un mondo sostenibile ¬- L’umanità vive una crisi ecologica su scala planetaria. Ciascuno di noi lo avverte sulla propria pelle: clima impazzito, stagioni irriconoscibili, inquinamento, desertificazione e riduzione della biodiversità. E in più l’accesso all’acqua potabile ancora negato ad oltre un miliardo di persone. Una politica internazionale moderna deve assumere la sfida dei cambiamenti climatici come stella polare, come insegna la recente iniziativa guidata da Al Gore. Non serve allarmismo ma una immediata e responsabile consapevolezza del rischio. Il genere umano ha la possibilità di salvaguardare la natura e di soddisfare i propri bisogni grazie a uno sviluppo sostenibile, dato che le conoscenze scientifiche e le innovazioni ci offrono nuovi sistemi produttivi, nuove merci e servizi meno inquinanti e a basso consumo di materiali ed energia. Il raggiungimento degli obiettivi di Kyoto, rafforzati dalle decisioni dell’Unione sulla CO2, e la fissazione degli obiettivi per il periodo successivo al 2012, vanno considerati una priorità e una occasione irripetibile. In questa emergenza è positiva l’idea di creare una nuova istituzione internazionale, una sorta di Consiglio di Sicurezza dell'Ambiente, che sia parte integrante del sistema delle Nazioni Unite, che riunifichi e rafforzi competenze sinora deboli e disperse, che sappia promuovere un “nuovo ordine ambientale”. Nuove energie - La tendenza al superamento dei combustibili fossili e l’impiego di fonti di energia rinnovabile a ridotto impatto ambientale ci spingono verso nuove soluzioni. E’ indispensabile che l’Italia si doti nel quadro europeo e internazionale di una strategia di sicurezza energetica che comprenda la certezza dell’accesso alle fonti, il risparmio energetico, la diversificazione, l’impatto ambientale, la ricerca e lo sviluppo di fonti alternative. Occorre investire sulle energie rinnovabili. Il loro impiego permette non solo di ridurre le emissioni di gas a effetto serra ma anche la eccessiva dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili. Dobbiamo perciò seguire con convinzione la strada indicata dal recente Consiglio Europeo: arrivare entro il 2020 a una quota del 20% di energie rinnovabili e a una quota minima di biocarburanti del 10% nel settore dei trasporti.Allontanare la minaccia nucleare - L’umanità sta rischiando concretamente di entrare in una seconda era nucleare. E’ uno spettro reale. Dopo anni di riduzione degli arsenali, Stati Uniti e Russia sono tornati ad aumentare le spese per il loro ammodernamento e potenziamento. In diversi Paesi si sta facendo strada la convinzione che il possesso di armi nucleari rappresenti la migliore garanzia di sicurezza contro un attacco esterno e comunque una “carta” da spendere sul piano dei rapporti di forza in una determinata area o a livello più ampio. Troppo sottile è il confine tra scopi civili e militari per non guardare con preoccupazione alla diffusione delle tecnologie nucleari o alla crescente disponibilità dell’uranio, materia prima indispensabile per la produzione di armi di distruzione di massa. Impossibile, in particolare, non provare inquietudine di fronte alla crisi nucleare iraniana. Fermezza e dialogo sembrano aver condotto ad una soluzione positiva rispetto al regime nordcoreano, che si è impegnato a smantellare i suoi impianti entro la fine dell’anno. Fermezza e dialogo dovranno essere il modo per arrivare al rispetto delle risoluzioni dell’Onu da parte di Teheran, a una reale ed effettiva cooperazione con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica e alla sospensione dei programmi di arricchimento dell’uranio.
Oltre la siepe - Siamo testimoni, dunque, di un cambiamento storico che mette in discussione la politica estera tradizionale ma offre anche all’Italia, alla sua privilegiata posizione geografica, alla sua cultura millenaria, l’occasione di giocare un inedito sistema di relazioni in Europa e nel mondo. Il Partito democratico offre questo insieme di scelte al dibattito del Paese. Non ci nascondiamo l’obiettivo di poter far convergere su di esse le altre principali forze politiche così da tornare finalmente ad una idea condivisa di politica internazionale - che da sempre dovrebbe essere il campo delle intese bipartisan - e da superare quelle logiche di schieramento di parte che ci hanno spesso indebolito. Sarà così possibile valorizzare l’amore e il rispetto che il mondo intero nutre per il nostro Paese e unire le grandi energie di cui disponiamo per promuovere sempre meglio gli interessi della nostra comunità nazionale che, oggi più che mai, coincidono con un più generale interesse europeo ed internazionale.
Walter Veltroni

Un codice etico per il PD

Sarà fondato sulla legalità.
"Il Partito democratico si dara' un codice etico fondato sui principi della legalità. Non importa se perderemo qualche pezzo in seguito a questa scelta, ma è importante segnare una distanza precisa, neutralizzando i condizionamenti dei poteri criminali". Lo ha detto Walter Veltroni, a Palermo per un incontro con gli industriali siciliani. Per Veltroni il tema non può interessare solo il Pd: "Ci vogliono regole generali a livello nazionale e regionale che determinino una linea comune su questo fronte". Veltroni ha poi sottolineato che se "è importante il principio della presunzione di innocenza fino alla conclusione dei diversi gradi di giudizio, c'è anche un problema di opportunità da tenere presente". "Dopo il 14 ottobre, comunque vadano le cose - ha aggiunto Veltroni - inizia un lavoro comune attorno a un tema centrale, decisivo per il destino dell'Italia, perchè le condizioni in cui si trovano alcune aree arretrate, rischiano di non far crescere il Paese. Si tratta di uno sforzo di liberazione che deve chiamare a raccolta le forze migliori della politica insieme a quelle della società civile. Ma i partiti e la politica devono dimostrarsi credibili". Serve un segnale forte: "La lotta alla mafia e ai poteri criminali senza quartiere, quale aspetto centrale del processo di modernizzazione del Paese passa anche attraverso il gran numero degli imprenditori che non pagano il pizzo. E' una battaglia liberale. In questo senso le parole di Napolitano sono importanti. Questa sfida - ha concluso Veltroni - riguarda tutti e riguarda il futuro dell'Italia perchè la mafia non c'è solo quando spara, ma è nella vita delle persone che non sono libere, dentro quella degli imprenditori che pagano il pizzo".

venerdì 21 settembre 2007

L'Alfabeto Democratico: che cosa significa dire Z come anno Zero del PD?

Z come anno Zero del PD
Cominciamo dal 2007 a contare gli anni:
- della speranza in un futuro migliore
- della fiducia dei cittadini nelle istituzioni
- di una nuova collaborazione tra cittadini e politici
- del prevalere dell’interesse generale sugli interessi particolari
della nascita di una forza democratica, innovatrice e progressista che si proponga come punto di riferimento sicuro per una società che sta cercando di ritrovare la sua strada.

L'Alfabeto Democratico: che cosa significa dire W come Welfare?

W come Welfare
L’equità sociale deve essere lo spirito guida che ci
porti a realizzare un sistema di Welfare più efficiente e che vada incontro alle esigenze della collettività nella sua interezza.
Una società civile si manifesta attraverso la democrazia, dalla quale deriva, e dallo Stato sociale ( Welfare ) dal quale riceve sostanza.

L'Alfabeto Democratico: che cosa significa dire V come Valori?

V come Valori

Il partito democratico si propone di riaffermare valori e principi che nella nostra società si stanno perdendo, la cui definizione parte inevitabilmente dal testo della Costituzione.
Su tutti emergono il rispetto delle persone, la libertà dai condizionamenti, l’uguaglianza tra i cittadini.
E’ necessario il recupero , da parte di tutti, di un nuovo senso civico.

L'Alfabeto Democratico: che cosa significa dire U come Università e ricerca?

U come Università e ricerca
Se vogliamo un Paese moderno e competitivo è assolutamente necessario puntare su una formazione universitaria di alto livello: contenuti, competenza, serietà, impegno, merito, collaborazione con le università straniere e stretti rapporti con il mondo del lavoro devono essere le parole d’ordine. Sono necessari maggiori finanziamenti alla ricerca, ma è opportuno anche un controllo maggiore sull’impiego delle risorse e sul lavoro di ricercatori e professori

L'Alfabeto Democratico: che cosa significa dire T come Trasparenza?

T come Trasparenza
La democrazia vive di trasparenza: è una qualità, un requisito da pretendere in tutti gli aspetti che influenzano la vita di una comunità. A maggior ragione deve essere pretesa nelle fasi che precedono scelte decisionali che toccano l’intera collettività. E sull’effettività di scelte trasparenti anche al suo interno, il Partito Democratico si giocherà la carta della fiducia dei cittadini.

L'Alfabeto Democratico: che cosa significa dire S come Sicurezza?

S come Sicurezza
La sicurezza è un diritto di cittadinanza da tutelare e garantire.
Si avverte la necessità di dare risposte diverse attraverso l’adozione di strumenti più mirati ed
efficaci per ristabilire una sicurezza reale, riportando l’aspetto sociale in primo piano, senza
nessuna volontà di discriminazione o emarginazione, ma facendo rispettare la legalità da parte di tutta la cittadinanza, anche attraverso un’accurata attività di prevenzione.

L'Alfabeto Democratico: che cosa significa dire R come Riforme?

R come Riforme
La necessità di Riforme è uno degli aspetti più sentiti dall’intera società italiana. Parlare di politica riformista, significa confrontarsi con i cambiamenti che avvengono all’interno del paese e saper trovare quella formula di sintesi che ponga al di sopra di tutto il benessere dei cittadini, in un’ottica di interesse generale. Non esistono riforme di destra o di sinistra, esistono soltanto quelle riforme che gli individui ritengono necessarie e fondamentali per il vivere comune.

L'Alfabeto Democratico: che cosa significa dire Q come Questione meridionale?

Q come Questione meridionale

Lo sviluppo dell’Italia passa dalla risoluzione dei problemi del Sud legati alle emergenze come acqua, rifiuti, emergenza ed infrastrutture attraverso politiche specializzate e non separate per il Mezzogiorno.
Si avverte la necessità di superare la stasi della burocrazia con una reale autonomia e indipendenza delle istituzioni locali per dare una scossa al sistema attuale e valorizzare le nuove proposte che arrivano sia dal mondo giovanile che da quello imprenditoriale.

L'Alfabeto Democratico: che cosa significa dire P come Pace?

P come Pace
Perché affermare di essere a favore della pace non vuole dire fare della demagogia ma credere che le controversie possano essere risolte attraverso azioni diplomatiche, senza ricorrere all’uso della violenza. Essere contro la guerra significa, prima di tutto, aver rispetto della dignità e della vita delle persone, significa non rimanere nella cieca convinzione di essere sempre dalla parte della ragione. La lotta al terrorismo, in tal senso, non può essere affrontata facendo guerra agli Stati che permettono la nascita e lo sviluppo di organizzazioni terroristiche ma, piuttosto, riflettendo sulle motivazioni che portano larga parte della popolazione di questi stessi Paesi a sostenere azioni criminali e spietate contro le nostre democrazie.

L'Alfabeto Democratico: che cosa significa dire O come Occupazione?

O come Occupazione
La necessità di riformare il mercato del lavoro costituisce una priorità non soltanto per diminuire la disoccupazione ma per garantire diritti e tutele a tutti i lavoratori in particolar modo a quelli a tempo determinato. La garanzia di un lavoro quanto più stabile e dignitoso, infatti, incide positivamente sulla vita delle persone e sulla visione che queste hanno del futuro. Il contratto a tempo determinato dovrebbe essere uno strumento a disposizione delle imprese per testare le capacità dei lavoratori prima di assumerli a tempo indeterminato, per coprire i “picchi produttivi” o per le imprese che operano in settori caratterizzati da stagionalità e non un modo per i datori di lavoro di evitare gli adempimenti propri del contratto a tempo indeterminato.

L'Alfabeto Democratico: che cosa significa dire N come Necessità collettive?

N come Necessirà collettiva
Spesso siamo indotti a pensare che le nostre necessità siano quelle di tutti e diventiamo insofferenti se le istituzioni non rispondono alle nostre esigenze.
Esistono però delle necessità collettive che sono facilmente riconoscibili:
- una scuola qualificata
- una struttura sanitaria efficiente
- trasporti e infrastrutture adeguati alla società moderna

L'Alfabeto Democratico: che cosa significa dire M come Merito?

M come Merito
Per lo sviluppo e l’emancipazione del Paese è necessario sconfiggere tradizioni radicate come quelle del favoritismo e del nepotismo.
Uno stato democratico deve dare l’occasione a chiunque abbia merito e talento la possibilità di dimostrarlo in ogni campo senza cedere a logiche di cooptazione e interessi corporativi.La scuola pubblica deve individuare precocemente i migliori elementi valorizzandoli e preparandoli al meglio ad una leale competizione nel mondo del lavoro.

L'Alfabeto Democratico: che cosa significa dire L come Laicità dello Stato?

L come Laicità dello Stato
La laicità è principio fondamentale e irrinunciabile di ogni stato moderno. Pur nel rispetto e nel dialogo reciproco Stato e Chiesa devono essere autonome nelle loro sfere di attività. Solo uno Stato che riconosca questo principio è in grado di garantire la libertà di espressione e religione dei suoi cittadini.

L'Alfabeto Democratico: che cosa significa dire I come Integrazione culturale?

I come Integrazione culturale
Il fenomeno dell’immigrazione deve essere affrontato con i giusti mezzi: in molte realtà sono già in atto politiche di integrazione attuate tramite associazioni, scuole, istituzioni. É necessario continuare su questa strada: i tempi sono maturi anche per riforme coraggiose, come ad esempio estendere il diritto di cittadinanza ai figli di immigrati nati nel nostro Paese.

L'Alfabeto Democratico: che cosa significa dire H come High tech?

H come High tech

Avvalersi dell’alta tecnologia significa avere reti informatiche aggiornate che consentono alle amministrazioni pubbliche di farti sentire a casa tua anche quando sei lontano, industrie e mezzi di trasporto più sicuri e meno inquinanti, ospedali in grado di offrire le soluzioni più all’avanguardia nel rispetto della persona e sempre alla ricerca della massima sicurezza. Avvalersi dell’alta tecnologia significa guardare al futuro con il desiderio di vederlo più sicuro, più pulito e soprattutto per tutti.

L'Alfabeto Democratico: che cosa significa dire G come Giovani?

G come Giovani
I giovani chiedono alla politica di essere coerente, una politica di contenuti e fatti concreti, una politica che sia capace di inserirli al centro delle discussioni di oggi in funzione del domani che verrà. Un nuovo patto generazionale deve essere riscritto affinchè l’equilibrio all’interno dello Stato sociale sia mantenuto, per garantire alle nuove generazioni una speranza concreta. L’unica cosa di cui noi giovani possiamo essere sicuri è che il Futuro ci appartiene.

L'Alfabeto Democratico: che cosa significa dire F come Federalismo Fiscale?

F come Federalismo Fiscale

L’autonomia finanziaria è la chiave di volta per garantire alle Regioni e agli Enti Locali la possibilità di una programmazione di lungo periodo delle proprie politiche territoriali. Nessuno meglio degli amministratori locali conosce le esigenze del proprio territorio e può quindi qualificare la spesa pubblica. Tutto ciò non pregiudicando il ruolo dello Stato secondo i principi di unità nazionale e di solidarietà scolpiti indelebilmente nella Costituzione.

L'Alfabeto Democratico: che cosa significa dire E come Europa?

E come Europa

Dopo due guerre mondiali l’Europa ha capito che le differenze linguistiche, di religione, di usi e costumi sono un niente rispetto ai profondi valori che accomunano tutti i popoli del Vecchio Continente. La solidarietà, la libertà, l’intercultura, la pace, costituiscono pietre miliari inamovibili nella nostra società, e per diffonderle in questo mondo ormai globalizzato è quantomai necessario che a parlare sia un’unica grande voce europea.

L'Alfabeto Democratico: che cosa significa dire D come Democrazia partecipativa?

D come Democrazia partecipativa
Occorre favorire il coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni prese dalle istituzioni sui progetti che possono cambiare il volto del nostro Paese. Garantire una reale partecipazione ai processi decisionali è un'esigenza vitale per un partito che vuol rappresentare le richieste e gli interessi della società e che giudica limitante il coinvolgimento dei cittadini soltanto durante le fasi elettorali.
Una legge sulla partecipazione che favorisca un dibattito pubblico preventivo, potrebbe rappresentare uno strumento per evitare quelle situazioni di protesta popolare che casi come la costruzione delle Tav e delle discariche ci mostrano sempre più spesso.

L'Alfabeto Democratico: che cosa significa dire C come Costituzione?

C come Costituzione
La costituzione è, per il Partito Democratico, un punto di partenza e un obiettivo da realizzare.
Nei suoi principi fondamentali ne rappresenta il retroterra culturale, il documento in cui si sono incontrate le culture dei partiti fondatori e ai cui valori fanno riferimento le persone che si riconoscono nel PD. Le modifiche saranno efficaci se nasceranno nella tensione etica e innovatrice che ispirò i padri costituenti.

L'Alfabeto Democratico: che cosa significa dire B come Buongoverno?

B come Buongoverno
Un buongoverno è un governo fatto di persone e non di personaggi.
Persone come noi, oneste, leali, che lavorano per il bene del Paese e dei cittadini.
Persone di valore e di cultura, attente alle necessità del paese prima che alle loro e capaci di rappresentarci come cittadini in patria e come italiani all’estero.

L'Alfabeto Democratico: che cosa significa dire A come Ambiente?

A come Ambiente
Si è veramente a favore dell’ambiente se si portano avanti politiche ambientali positive, costruttive, che abbiano un approccio diverso rispetto al passato, quando rispettare la natura si credeva volesse dire no a tutto. Quindi sì ad un sistema produttivo che comporti un decremento dell’immondizia prodotta, sì ad una filiera completa di raccolta differenziata (vera!) che preveda solo da ultimo e per forza il termovalorizzatore, sì a parchi eolici e fotovoltaici in ogni provincia, sì alla consapevolezza che di pianeta Terra a disposizione ne abbiamo soltanto uno.




Partito democratico, 5 cose da fare subito. Taglio di poltrone e via i partiti dalla Rai

di MARIO PIRANI
Non prendiamoci in giro. La nascita del Partito democratico non sta maturando attraverso una "fusione calda", malgrado le speranze suscitate e che erano sembrate coagularsi in due momenti: i congressi di scioglimento di Ds -Margherita e la presentazione della candidatura Veltroni. Dopo quei passaggi ci si attendeva un rilancio che aprisse subito le porte del costituendo partito a forze sociali fin qui mortificate, a intelligenze creative fin qui messe ai margini, a spiriti liberi pronti a impegnarsi. La delusione è, per contro, palpabile. Il timore che la perigliosa iniziativa sfuggisse di mano alle due nomenclature di riferimento ha prodotto un macchinario selettivo barocco e antidemocratico. Il suo funzionamento è difficilmente comprensibile, di nessuna attrattiva, dissuasivo nei confronti di ogni desiderio di partecipazione. Lo spezzatino delle liste per circoscrizione, la duplicazione delle medesime (più di una per candidato), la designazione delle candidature ad opera di piccoli gruppi di vertice addetti alla bisogna, il rifiuto di permettere le preferenze, così da controllare e gestire rigidamente l'ordine di ogni lista dei designati, (ricalcando l'aborrita - a parole - legge elettorale vigente): questi gli aspetti salienti del marchingegno messo in piedi. Ben altro sarebbe stato l'effetto se si fosse votato in tutta Italia per i soli candidati alla leadership (Veltroni, Letta, Bindi, ecc.) attraverso un voto cui partecipassero per internet o per suffragio al seggio tutti i militanti e i simpatizzanti che lo volessero (le tecnologie computerizzate di controllo impediscono ormai le duplicazioni), versando una quota e sottoscrivendo un breve impegno di adesione. L'aver inoltre applicato alla Costituente un federalismo spinto, accompagnando all'elezione del segretario nazionale, quella dei leader regionali, oltre ad aver scatenato in ogni capoluogo una lotta personale asperrima, ha tracciato i binari di un partito localistico, prefigurando una federazione di micropotentati, di feudi di signori delle tessere e dei voti, restii a far propri i valori di una politica nazionale e ancor meno europea. Alla partizione ideologica di partenza si assommerà, così, quella regionalistica.
Tutto questo potrebbe forse non incidere più che tanto se i candidati di maggior rilievo e, in primo luogo, Walter Veltroni riuscissero a svincolarsi dai lacci che lo spirito di conservazione dei partiti d'origine hanno loro imposto e che forse hanno accettato con troppa rassegnazione, subendo oggi le leggi del compromesso, per far meglio domani. Sol che questa non è una fase che consenta una lunga marcia per arrivare a medio termine a secernere sapientemente una nuova classe dirigente, capace in un prossimo futuro non meglio definito, di dirigere il nuovo partito dei riformisti, a vocazione maggioritaria, come ha detto Veltroni e, cioè, in grado di governare, scegliendo maggioranze coerenti. La fase attuale è, per contro, di rapido e rovinoso smottamento del rapporto di fiducia tra la democrazia rappresentativa e masse crescenti di cittadini, molti dei quali o sfiduciati o preda di ogni ventata demagogica e distruttiva. Potremmo attardarci ad analizzarne le cause, capire quali sono state le realizzazioni sottovalutate e gli errori non perdonati del governo Prodi (il maggiore dei quali, a mio avviso, è stato quello di sostenere ad ogni occasione che l'elettorato è destinato a capire domani, forse fra qualche anno, la giustezza delle cose di cui oggi si lamenta). Potremmo, inoltre, elencare le ancor più gravi pecche in cui sono incorsi i partiti (culminate da ultimo in un impeto suicida nell'apertura delle porte del Festival dell'Unità all'appello squadristico di Beppe Grillo per la distruzione di ogni partito presente e futuro, tranne ovviamente il suo). Qui ed ora urge, però, ben altro che acute disamine politologiche. Urge prendere atto di una situazione, confermata da tutti i sondaggi (vedi quello di Diamanti del 18 us) e descritta su queste colonne da Eugenio Scalfari con uno dei più drammatici pezzi che abbia mai concepito in tutta la sua vita e di cui sottoscrivo ogni parola ("Il popolo cerca il giudizio universale", Repubblica, 16 us). Aggiungo, però, che se oggi "c'è un crescente rifiuto di questa politica, di questi partiti, di questi uomini politici" e se gli appelli di Beppe Grillo danneggiano solo la sinistra e fanno ben contento Berlusconi "che da 15 anni fa politica in nome dell'antipolitica", ebbene questo desolante quadro è il frutto non di una mutazione antropologica che ha reso il popolo di sinistra refrattario ai valori della politica ma della delusione amarissima per il degrado etico, la pochezza, la litigiosità, l'incoerenza, la presunzione, l'arroganza, la proterva occupazione del suolo pubblico di ogni ordine, grado e qualità a cui una parte notevole dei ceti dirigenti dell'arco governativo si è lasciata andare in questi anni, senza incontrare resistenza e denuncia da parte di chi dissentiva tacendo. Questo ha sovente anche cancellato la percezione della differenza, nell'azione pratica e persino nelle parole, tra destra e sinistra. Eppur tuttavia c'è ancora una possibilità reale di riscossa. Non è affatto detto che almeno la metà degli italiani, che ha votato centro sinistra nelle ultime elezioni politiche e amministrative, sia perduta per sempre o stia passando armi e bagagli nel campo di Berlusconi e Beppe Grillo, uniti sotto spoglie diverse in un unico disegno. C'è un dato nell'ultimo sondaggio Demos-Eurisko, su cui Ilvo Diamanti si sofferma ("Repubblica" 16 settembre), che indica chiaramente uno spazio di ripresa, laddove afferma: "La candidatura di Walter Veltroni ha smosso le acque stagnanti in cui rischiava di affondare il Pd... Insieme a Fini egli appare ancora il leader politico più amato dagli italiani..... L'elettorato potenziale del Pd è molto più ampio di quello attuale. Le stime oggi gli attribuiscono poco più del 26% dei voti ma la quota di coloro che ritengono possibile votarlo è molto più ampia. Intorno al 44%. La componente dei "democratici indecisi" è costituita in larga misura (40%) da elettori incerti "se" e "per chi" votare... sulla soglia che separa speranza e delusione". Ecco, dunque, il campo dove Veltroni dovrebbe giocare la sua partita. Con rapidità, spregiudicatezza, coraggio. Affrontando la questione di fondo che lui non ha fin qui eluso ma non ne ha fatto, certo, il centro della sua campagna: la crisi attuale della politica e la necessità urgente di rifondarne il messaggio. Se quello di Beppe Grillo ha raccolto 300.000 adesioni, l'assai meno urlato Decalogo (mi scuso per la citazione) da me proposto il 24 maggio us su questo giornale ne ha raccolte 150.000. I nostri lettori, ma credo la stragrande maggioranza degli italiani al di fuori della "casta", volevano e vogliono dei segni concreti di cambiamento: 1) Un governo snello ed efficiente, di 15 ministri, di cui 7 o 8 donne e 45 sottosegretari, non di più; 2) Un taglio drastico dei privilegi e degli stipendi del pletorico ceto che vive sulla politica: più di mille parlamentari, diecine di migliaia di consiglieri regionali, comunali, provinciali, delle comunità montane e quant'altro; 3) Un disboscamento delle migliaia e migliaia di società a partecipazione pubblica, degli assessorati inutili, delle sovvenzioni clientelari; 4) La fine della lottizzazione delle cariche negli enti pubblici, nelle Asl, nei ministeri; 5) L'estromissione dei partiti dalla Rai. Basterebbe questo per rompere il clima di delusione e rassegnazione, recuperando, quanto meno, incerti e indecisi. Veltroni, certo, potrebbe obbiettare che queste cose non dipendono ancora da lui. E' vero, ma è pur possibile, come ha suggerito Piero Fassino all'ultima Festa dell'Unità, vincolare nel corso della prossima Costituente ad alcune decisioni, regole e norme di comportamento tutti i dirigenti e gli esponenti istituzionali del nuovo Partito, raccogliere e rispondere - è sempre Fassino che parla - "all'indignazione nel vedere il merito, la capacità, la fatica dello studio travolti da concorsi truccati, appalti guidati, assunzioni di favore". Veltroni non può e non deve proporsi affatto di scalzare Prodi. Deve, però, convincersi che nella sua campagna per la leadership del nuovo Partito gioca contemporaneamente una partita futura, di cui oggi gli italiani debbono percepire le caratteristiche essenziali e credibili. Per questo deve dire ora che tipo di governo ha in mente. Deve proporre ora un tavolo Stato-Regioni che riporti i governi locali a dimensioni anche di spesa compatibili con la pubblica decenza. Deve dire ora come vuol mettere fine alla lottizzazione. Ed, infine, dovrebbe anche aggiornare schemi invecchiati di comunicazione. Ad esempio le cose che ha detto e scritto negli ultimi mesi sono ricche di idee e proposte giuste. Avvolte, però, in articoli troppo lunghi, in discorsi troppo alti ancorché accattivanti, redatti con un linguaggio non sempre adatto a tradursi in un messaggio immediato, secco, comprensibile a tutti. Mi dicono abbia aperto un blog. Ne faccia ampio uso e tramite internet entri in contatto, il più possibile, con quanti non può incontrare direttamente. Lasci perdere le defatiganti mediazioni. Non c'è più il tempo. Si rivolga direttamente alla gente. Gli è ancora possibile farsi ascoltare.

(da la Repubblica, 20 settembre 2007)

giovedì 20 settembre 2007

Appuntamenti in Toscana

Parte la campagna sui tirocini e sugli stages
FESTA NAZIONALE DE L'UNITA' SUI SAPERI DEMOCRATICI
PISTOIA - PIAZZA OPLA'
Lunedì 10 settembre ore 18,00

I PRE OCCUPATI
Diritti verso il lavoro

partecipano:
RENZO INNOCENTI - Ministero delle Politiche Giovanili
CECILIA LONI - Portavoce Anna LIndh Toscana
PATRIZIO MECACCI - Segretario Sinistra Giovanile Toscana
CATERINA BINI - Coordinatrice regionale La Margherita
coordina:MATTEO TOSCANI - Responsabile Università Sinistra Giovanile Pistoia

hanno garantito la partecipazione:
CGIL Toscana, CISL Toscana, UIL Toscana, CONFESERCENTI Toscana, CONFCOMMERCIO Toscana, CNA Toscana, PROTEO, CESVIT Toscana Lazio, SMILE Toscana, ENFAP Toscana, IOL Toscana, SINISTRA UNIVERSITARIA, SINISTRA PER

mercoledì 19 settembre 2007

Veltroni in Toscana

Venerdì 21 settembre il candidato alla segreteria del Partito Democratico Walter Veltroni sarà in Toscana per una serie di iniziative che lo porteranno in diverse città della regione.
Alle ore 13.30 a Firenze dove Veltroni incontrerà gli studenti universitari fuori sede dell’Istituto Calamandrei in Viale Morgagni.
Alle 15:00 Veltroni parteciperà a Firenze nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio al Forum sull'Immigrazione.
Alle 18:00 spostamento ad Empoli per un incontro con gruppi di teatro e musicali toscani nell’area dell’ex mercato ortofrutticolo Avane.
Alle 20:00 appuntamento a Livorno per una cena di sottoscrizione alla Stazione Marittima.
La giornata toscana di Veltroni si concluderà a Pisa alle 21,30 per una manifestazione nell’Area Expo di Ospedaletto.

"Il Paese ha bisogno di uno scatto per l'innovazione"

Veltroni e Franceschini a Milano per un nuovo patto generazionale: "Discutiamo della proposta Treu sul contratto unico per i giovani"
"Il Paese ha bisogno di uno scatto per l'innovazione e deve scrollarsi di dosso la somma dei conservatorismi il primo dei quali e' quello istituzionale". Lo ha detto Walter Veltroni, parlando a Milano ad un convegno del partito Democratico, indicando quali sono tra gli altri gli obiettivi del nuovo partito.Veltroni ha citato, come esempio, la concertazione: "la concertazione - ha spiegato - e' necessaria ma se si svolge giocando al rimpallo determina solo la stasi e questo non va bene. Per questo motivo io ho parlato da tempo della crisi del sistema democratico italiano. Una crisi che tende a diffondersi". Per Veltroni il rinnovamento di cui il Pd si dovra' fare portatore passa soprattutto attraverso "una visione di insieme nella quale la politica sia lieve e ambiziosa, mentre ora e' pesante con lo sguardo rivolto al potere e al passato".
Per Veltroni il primo obiettivo del Pd sara' dunque quello di "soddisfare il bisogno di innovazione e di cambiamento". "Non a caso - ha puntualizzato Veltroni - nel mio discorso al Lingotto ho parlato di crisi di democrazia in Italia. Allo stato attuale "nel paese si gioca solo la partita del veto", il che per Veltroni si traduce in''totale impossibilita' di decidere. La democrazia e' decisione".
Percio' il Pd dovra' essere "una forza che ha il coraggio di immaginare cose che fin qui non sono state immaginate e dire cose che fino ad ora non sono state dette". A questo proposito, Veltroni auspica una sorta di "rivoluzione" alla pari di quella instaurata dalla candidata alle primarie presidenziali per il Partito democratico Usa, Hilary Clinton, che ha aperto all'ipotesi di assistenza sanitaria gratuita per tutti.Insomma, ha concluso Veltroni, ''il Pd nasce con un profilo programmatico forte e innovativo e con lo sguardo rivolto all'equita' e alla giustizia sociale. Mi sforzo di dire quello che dovra' essere il programma del Pd, non un programma di governo. Un partito che dice agli italiani quello che fara''.
Sulla proposta avanzata da Tiziano Treu di un contratto unico di inserimento per i giovani lavoratori precari Veltroni ha concluso:''si tratta di unaproposta molto suggestiva che va affrontata nel modo in cui se ne e' parlato: discutiamone''. Veltroni ha poi aggiunto di volerne discutere ''a partire dal protocollo sul welfare che spero che venga approvato dal referendum'', la consultazione indetta dai sindacati sul protocollo del 23 luglio.

"La politica balla sul Titanic"

Veltroni a La Stampa:«Rischiamo che arrivi qualcuno e spazzi via tutto»
Stefano Marroni per La Stampa, 18 settembre 2007
Uno dei pochi posti di Roma in cui Walter Veltroni non ha cambiato davvero niente è l’ala al primo piano del Campidoglio che accoglie gli uffici del sindaco. Una teoria di stanze dai soffitti alti che si aprono una nell’altra alle spalle dell’aula Giulio Cesare, e culmina nel salottino degli effetti speciali, quello che si affaccia a precipizio sui Fori e al padrone di casa consente di regalare ai suoi ospiti la possibilità di affacciarsi al balconcino e godersi in solitudine e in silenzio lo spettacolo della più grande area archeologica del mondo distesa ai loro piedi, con sullo sfondo la mole del Colosseo, e a destra quella del Palatino.
Un posto unico, che a Veltroni serve per spiegare la chiave del successo di Roma, e insieme - in modo trasparente - alludere al destino di chi governa l’Italia: «In queste stanze, a questa scrivania - dice - prima di Francesco Rutelli e di me si sono succeduti molti sindaci condizionati dalle correnti, ossessionati dal problema di tenere insieme le loro maggioranze. Gente che durava magari un anno, e di cui tutti gli interlocutori - le categorie, gli interessi costituiti, le lobby, i sindacati - conoscevano la fragilità.
Non è difficile capire perché le cose sono andate come sono andate per tanti anni, e perché a questa città fosse stato predetto un declino inevitabile. Poi l’elezione diretta del sindaco ha cambiato tutto. Ha garantito stabilità, coesione, continuità. Ma soprattutto ha garantito a chi governa la possibilità di assumersi fino in fondo le proprie responsabilità. Che vuol dire ascoltare, concertare. Ma poi decidere, in coerenza con il programma con cui ci si è presentati davanti agli elettori. È questo che ha cambiato Roma: che l’ha rimessa in moto, le ha consentito di ritrovare una vocazione, un’identità, le energie che ne hanno ricostruito l’orgoglio. L’efficienza di un modello in cui concertazione e decisione vanno insieme».
Parla di Roma, il sindaco. Della formula che ha garantito alla capitale spompata che Francesco Rutelli ereditò nel ’93 dagli uomini di Roma ladrona un decennio di crescita senza precedenti. Ma senza nascondere che anche nel bagaglio che il candidato segretario del Partito democratico porterà con sé ci sarà molto di questa esperienza, per preparare ancora una volta il centrosinistra alla sfida del governo: «Un Paese che giorno dopo giorno appare sempre più dominato dall’irresponsabilità e dalla piaga dei veti incrociati - spiega - ha bisogno di fare sua la cultura della decisione.
Ha bisogno subito di riforme che lo trasformino in una democrazia in grado di decidere». Per non perdere il treno della crescita, e ritrovare un ruolo nel mondo globalizzato che lo sottragga ai rischi di una marginalizzazione della sua economia. Ma soprattutto perché l’alternativa è il moltiplicarsi di un disagio che alla lunga - avverte - prepara rischi per la stessa democrazia. I cittadini si specchiano in una politica che continua a macinare parole invece di fare, come se non si rendesse conto di quel che le succede intorno: una specie di orchestrina del Titanic che continua a suonare come se nulla fosse, che ogni giorno scopre un’emergenza nuova, ma sistematicamente dichiara che l’affronterà domani.
Finché non arriverà qualcuno che spazzerà tutto via dicendo: “Basta con questa lentezza: datemi il potere, ci penserò io”. Un qualcuno che non è detto debba portare il buffo cappello a tre punte del colonnello Tejero: il Berlusconi del ’94, in fondo, ha tentato una risposta a questo malessere, prima di imbrigliarsi da solo, e finire per entrare a far parte anche lui di un sistema gelatinoso. È un pericolo che possiamo evitare a patto di cambiare prospettiva, di metterci nell’ottica di fare. Di dare l’attenzione che meritano al disagio e al talento, che sono le due facce di questo Paese di cui spesso ci dimentichiamo. Di affrontare e risolvere in tempi ragionevoli enormi problemi strutturali che altri Paesi hanno già alle loro spalle. E impegnarci tutti in una rigenerazione ideale e morale che è la condizione per dare un futuro alla politica».
È la ricetta di un uomo che torna al centro della scena politica con alle spalle sei anni vissuti in un curioso limbo, in una condizione che per i leader del centrosinistra ne ha fatto un po’ l’analogo del Commendatore mozartiano. Tenendolo al riparo dal logorio delle battaglie di tutti i giorni, e insieme accreditandolo come uomo di governo da un ruolo istituzionale la cui visibilità è cresciuta man mano che Roma metteva in fila i numeri della sua rivincita. Ma Veltroni scuote la testa, se gli prospetti l’idea di aver centrato l’obiettivo sulla scia di un perfetto calcolo politico: «Quando nel 2001 feci la scelta di candidarmi a sindaco di Roma - racconta - lo feci anzitutto perché me lo chiesero in parecchi. Molti, immagino, perché volevano che smettessi di essere il segretario dei Ds. Altri magari perché pensavano davvero che con me si potesse vincere a Roma. Ma devo dire che non ho lasciato malvolentieri il Botteghino. Sinceramente penso che quello non fosse il mio lavoro, anche se abbiamo fatto cose importanti, l’elezione di Ciampi al Quirinale, il congresso di Torino… Viceversa, ho sempre pensato che mi sarebbe piaciuto fare il sindaco a Roma, cimentarmi con la guida della mia città, del posto in cui da consigliere comunale, con Petroselli, ho fatto le mie prime esperienze di amministratore. Ma non fu una scelta comoda, come qualcuno fece capire. Non mi cercai i paracadute: mi giocai tutto in una sola partita che non era affatto facile vincere, sapendo che se avessi perso avrei dovuto fare un altro lavoro. Non so come sarebbe stato: so però che c’è mancato poco...».

Sotto il riformismo, ambizioni vere, promesse da mantenere

Su MicroMega lungo confronto tra Paolo Flores D'Arcais e Walter Veltroni.
Pubblichiamo l'intervista a Walter Veltroni che apre il numero di settembre di MicroMega.

Berlusconi/Brambilla hanno fondato un nuovo partito per drenare una parte del non-voto, una quota dell’anti-politica di segno qualunquista.
Me esiste, probabilmente ancora più estesa, un’area democratica dell’anti-politica: cittadini impegnati nei movimenti degli scorsi anni, o con essi comunque simpatizzanti. Il centro-sinistra non fa nulla per cercare di “rappresentarli”. Anzi, sembra fare di tutto per respingerli, per convincerli che “i politici sono tutti eguali”, per farli restare a casa alle prossime elezioni. Eppure, da anni le elezioni le vince chi “perde meno” tra i suoi potenziali sostenitori dentro le fila del più grande partito italiano di massa, quello dei “nauseati” della partitocrazia.Perché il centro-sinistra diventa invece sempre più autoreferenziale, sempre più somma di apparati? Indigenza culturale dei suoi dirigenti? Interessi di nomenklatura (di “casta”!) ormai stratificati? Meccanismi di selezione che premiano servilismo e mediocrità?

Il Partito democratico nasce con la precisa intenzione di riconquistare alla politica, alla partecipazione, all’impegno, milioni di italiani che se ne sono allontanati e in particolare tanti giovani che dalla politica si sono finora tenuti lontani. Non mi nascondo le difficoltà di una simile impresa, ma so che è tutt’altro che impossibile: il nostro paese è ricco di risorse umane straordinarie e aspetta una politica capace di rimetterle in gioco.
Ecco, io penso che il Pd possa diventare lo strumento per quella che a me piace chiamare una nuova stagione democratica dell’Italia. A due precise condizioni. La prima: la politica deve tornare ad essere percepita non come guerra di posizione tra opposte fazioni, ma come strumento di cambiamento della realtà in cui viviamo, la realtà con la quale le persone si confrontano tutti i giorni.
Per questo ho parlato di ribaltamento dell’attuale gerarchia tra programma di governo e coalizione elettorale. Il bipolarismo italiano fino ad oggi si è retto su due coalizioni “contro”, che hanno messo insieme tutte le forze che era possibile reclutare in nome di un solo obiettivo: battere l’avversario. Il programma doveva essere il più ampio e generico possibile per farci stare dentro tutti. Poi, una volta al governo, ci si accorgeva che con quel programma e con quella coalizione non si era in grado di affrontare i nodi di fondo che stanno strangolando il nostro paese: la crescita più bassa d’Europa e il debito pubblico più alto; il tasso di occupazione più lontano dai parametri di Lisbona sia tra le donne, che tra i giovani, che tra gli anziani e la più vasta economia informale, col più ampio ricorso al lavoro nero del continente; la spesa previdenziale più alta e le pensioni più basse; una pressione fiscale tra le più forti e il più elevato tasso di evasione. E poi il deficit di infrastrutture e quello nella ricerca e nella formazione superiore. O la più alta spesa per le forze dell’ordine e un diffuso senso di insicurezza. E potremmo continuare a lungo nell’inventario delle contraddizioni che fanno della nostra, come ha scritto di recente Anthony Giddens, “la società bloccata per eccellenza nel vecchio continente”.
Il Partito democratico nasce come strumento per affrontare con coraggio e realismo questa difficile situazione, dicendo una cosa semplice e chiara: il programma di governo è il fine, la coalizione è il mezzo. Consentimi di dire che questa elementare verità rappresenta una svolta non solo politica, ma anche culturale e morale. Significa affermare una visione “antimachiavellica” della politica: suo fine ultimo non può essere la conquista e la conservazione di un potere fine a se stesso, mettendo in campo tutta la forza necessaria a vincere, incuranti della sua utilità per il governo, ma la ricerca del consenso in nome di un progetto e di un programma di cambiamento. Questo, per me, è il riformismo.


Il nuovo Partito democratico doveva nascere attraverso primarie costituenti. Capaci di coinvolgere almeno i quasi quattro milioni di cittadini che due anni fa avevano votato alle primarie per Prodi, e renderli così i fondatori della nuova formazione.
Tale impegnativa promessa, l’unica in grado di appassionare, o più modestamente e verosimilmente interessare nuove energie, esigeva il massimo di apertura a candidature alternative, e regole di confronto il più possibile “fair” (molto oltre le attuali norme di “par condicio”).
Ora, tutti i candidati rimasti (esclusivamente Ds e Margherita) si accusano reciprocamente di tentazioni verticistiche e di scarse aperture alla società civile. Ma perché si è fatto di tutto per cancellare qualsiasi candidatura anche solo vagamente “scomoda”, con norme capestro prima, e con interpretazioni delle stesse francamente capziose e smaccatamente oligarchiche, poi?
E perchè non si è preteso che la maggior parte della campagna dei candidati alla segreteria si svolgesse attraverso confronti diretti, unica forma per ridurre disparità di risorse comunicative, tentazioni retoriche, vaghezze programmatiche?


Lasciami fare una premessa, perché mi sembra che troppe volte siamo specialisti nel farci del male, nel non riconoscere e apprezzare esperienze e novità che noi stessi promuoviamo: ma quale partito, nella nostra storia e anche guardando altrove, è mai nato così? Quale partito, invece di nascere come spesso è accaduto da una scissione, da una separazione o comunque da una decisione di pochi, è mai nato in questo modo, da una fusione, da elezioni primarie, da una costituente eletta dai cittadini? E’ un grande processo democratico, quello in atto, e dovremmo considerare questa una cosa preziosa, da difendere e valorizzare. Stabilito questo, stavo dicendo prima che vedo due precise condizioni perché il Partito democratico possa diventare lo strumento del risveglio democratico dell’Italia. La prima è il primato del programma di governo, di un programma riformista. La seconda è quello che ho chiamato un “big-bang” democratico. Anche questa è una svolta culturale e morale, prima ancora che politica. Per tanto tempo si è sostenuto che decisione di governo e partecipazione democratica fossero tra loro in un rapporto inversamente proporzionale: per far crescere la prima bisogna ridurre la seconda, o viceversa. In realtà, l’esperienza dei paesi europei di successo, penso alle democrazie nordiche, ma da ultimo anche alla Spagna, ci dice che le riforme si fanno solo con la democrazia e non contro di essa, o se preferisci con più e non con meno democrazia. Il Partito democratico nasce per ricomporre, anche in Italia, questa frattura tra partecipazione e decisione. Dobbiamo riuscire a mettere la forza della democrazia al servizio delle riforme che servono al paese. E viceversa: fare dell’obiettivo delle riforme la ragione motivante di una nuova stagione di impegno democratico.
Per questo, con Romano Prodi, nei congressi dei Ds e della Margherita si è deciso di far nascere il partito nuovo, come tu dici giustamente, attraverso primarie costituenti, capaci di coinvolgere, mi auguro, milioni di cittadini italiani. E di segnare un elemento di discontinuità nella concezione stessa del partito: non più proprietà privata del circuito, più o meno esteso, dei suoi fondatori e dei suoi iscritti, ma una grande istituzione civile, uno strumento di partecipazione a disposizione di chiunque si riconosca nei suoi valori di fondo e voglia abitarlo, utilizzarlo per contribuire ad affrontare i problemi del paese.
Tu dici che le regole approvate dal Comitato dei 45 negano questa premessa. A me pare un pessimismo eccessivo. Naturalmente, ogni regola è un compromesso tra diverse esigenze. In questo caso, tra l’esigenza “costituente” di favorire il massimo di apertura e partecipazione dal basso e quella “congressuale” di promuovere un confronto tra opzioni politiche e programmatiche chiare. Come sai, nel Comitato dei 45, io non ero favorevole alla sovrapposizione dei due momenti. Pensavo fosse più giusto concentrarsi sulla fase costituente e rinviare ad un secondo momento la scelta del leader. Si è deciso di accorciare le tappe sotto la pressione, anche psicologica, della sconfitta alle amministrative, che ha segnato un momento di crisi del rapporto tra il centrosinistra e il paese. In ogni caso, abbiamo diversi candidati alla segreteria nazionale e avremo moltissimi candidati nelle liste per l’assemblea. Io mi sono impegnato, e ho chiesto agli altri candidati segretari di fare altrettanto, ad apparentarmi solo con liste fortemente innovative: per la mescolanza di provenienze politico-culturali, per la presenza di giovani, per la capacità di rappresentanza delle molte energie di cui dispone la società italiana: dal mondo produttivo a quello del volontariato, dal mondo della cultura a quello delle professioni.
Quanto alla gestione della campagna elettorale, ho espresso la mia disponibilità a partecipare a incontri diretti tra tutti i candidati. Confronti che non ci furono alle primarie di due anni fa, che pure vengono giustamente ricordate come uno straordinario evento democratico. E’ la prova di quanti passi avanti stiamo facendo e di come stia crescendo attorno a noi la voglia di democrazia.


Cosa impedisce al centro-sinistra di varare una riforma elettorale e costituzionale che al tempo stesso renda più efficiente il funzionamento delle istituzioni, abbatta radicalmente i costi della politica e ne riduca gli offensivi privilegi, dimostrando ai cittadini che “fare politica” non coincide con i rituali di iniziazione ad una “casta” che si riproduce per cooptazione?
Cosa impedisce che si proponga una sola camera legislativa, con non più di cento deputati, e una seconda camera di “garanzia”, federale, composta dai sindaci delle maggiori città (e di quelle più piccole, a rotazione)? Cosa impedisce che non siano consentiti più di due mandati (norma prevista dai Ds, “salvo eccezioni”)? Cosa impedisce un tetto per il numero di ministri e sottosegretari, e l’incompatibilità tra carica parlamentare e carica ministeriale (con le possibili eccezioni di Interni ed Esteri)? Cosa impedisce l’abrogazione delle Province, all’ordine del giorno quando furono create le Regioni, e quella di tante altre assemblee elettive (di quartiere, ecc.) che servono solo ai partiti per sistemare “funzionari”? Cosa impedisce che, almeno, la partecipazione a tale assemblee sia rigorosamente gratuita (senza “gettoni” e altri rimborsi, dunque)? Tutte proposte avanzate da MicroMega ventuno anni fa!

Come sai, uno dei primissimi contributi programmatici che ho offerto al dibattito in vista della costituente è stata la proposta di dieci concrete riforme delle nostre istituzioni e della nostra democrazia.
La prima è il superamento dell’attuale bicameralismo perfetto, specializzando i due rami del Parlamento: una Camera politica e un Senato delle autonomie. La seconda proposta è la drastica riduzione del numero dei parlamentari, in linea con le altre grandi democrazie europee. La terza è la riforma della legge elettorale, nella direzione di un bipolarismo basato su grandi forze politiche, e ripristinando un rapporto fiduciario tra elettori ed eletti attraverso elezioni primarie per la selezione dei candidati.
Quarta e quinta proposta, il simultaneo rafforzamento del Presidente del Consiglio, sul modello tipicamente europeo del governo del primo ministro, e del sistema di garanzie nel sistema maggioritario e bipolare, in modo da scongiurare qualunque rischio di dittatura della maggioranza o di deriva plebiscitaria.
Sesta proposta, il voto unico della Camera sulla legge finanziaria nel testo predisposto dalla Commissione Bilancio, sulla falsariga dell’esperienza inglese.
La settima è la riforma dei regolamenti parlamentari e delle leggi di finanziamento pubblico dei partiti e della stampa di partito, che oggi incentivano e invece dovrebbero scoraggiare la frammentazione.
L’ottava proposta è il completamento della riforma federale dello Stato, a cominciare dal federalismo fiscale e dalle forme di autonomia che possono avvicinare le regioni a statuto ordinario alle autonomie speciali.
Nona proposta: prevedendo almeno il 40 per cento di candidati donne. Decima: riconoscere il voto ai sedicenni per le elezioni amministrative e regionali.
Ho detto che si tratta ovviamente di proposte aperte al confronto, nel Pd e con l’opposizione. Ma sarebbe un risultato straordinario per il paese, se si impiegasse questa legislatura per approvarle insieme, in modo da poter andare alle prossime elezioni con un sistema politico finalmente adeguato agli standard democratici europei.


L’argomento principe di chi vuole assolvere gli evasori fiscali è che i soldi della tasse vengono sprecati per mantenere un esercito parassitario di clientele senza arte né parte. Argomento alquanto fondato, empiricamente parlando. Perché non lo si recide in radice, eliminando tale mostruoso spreco? Sarebbero i classici due piccioni… (democratico-efficientisti, oltretutto).
Ad esempio: stabilendo un rapporto massimo fisso (molto inferiore all’attuale) tra numero dei cittadini e numero dei dipendenti, dei funzionari e soprattutto dei dirigenti delle amministrazioni locali. Rinnovando completamente il regime dei concorsi (in modo da renderlo esclusivamente meritocratico). Ponendo fine alla piaga delle “consulenze” più o meno fittizie. Eccetera (affidando magari l’individuazione di questo “eccetera” ai molti ed emarginati Bassanini, invece di regalarli all’arruolamento di Sarkozy).

Mi pare che la tua proposta colga il punto centrale della questione fiscale: il rapporto tra il livello della pressione tributaria e contributiva e la qualità dei servizi pubblici. Non esiste infatti un livello ottimale di pressione fiscale. Ci sono paesi, a cominciare da quelli del Nord Europa, che hanno un livello di pressione molto alto, che tuttavia sostiene un sistema di infrastrutture, materiali e immateriali, e di servizi sociali, che rappresenta esso stesso un fattore di competitività economica, oltre che di qualità della vita. Così come ci sono paesi europei a bassa pressione fiscale assai meno competitivi e dove si vive decisamente peggio. Il problema italiano è che la pressione fiscale, che sconta un’ampia area di evasione, è concentrata sui contribuenti leali – e per questi arriva a livelli svedesi – mentre il corrispettivo in termini di infrastrutture e servizi è assai lontano dagli standard dei paesi scandinavi. E’ questo divario che sta diventando intollerabile. Se io sono un contribuente onesto della Lombardia o del Veneto, e penso al livello delle imposte che pago, mentre sono in fila perché aspetto da anni la Pedemontana o il passante di Mestre, è evidente che mi viene il nervoso.
Penso allora che il Pd possa e debba prendere due impegni: il primo è a riqualificare la spesa, rendendola produttiva, in termini di infrastrutture e servizi. Attenzione: riqualificare non è un altro modo, un modo furbo, di dire aumentare. Voglio essere assolutamente preciso su questo: per ogni euro di spesa in più nei settori o nelle politiche di innovazione, deve esserci una corrispettiva riduzione in settori o politiche improduttive, come quelli che tu denunci. Il governo, col ministro Padoa-Schioppa, si sta muovendo in questa direzione e ha tutto il mio appoggio. Dobbiamo stabilizzare il livello assoluto della spesa e dunque ridurne progressivamente l’incidenza sul Pil. Al contrario di quel che ha fatto il governo Berlusconi, che in cinque anni ha aumentato l’incidenza della spesa sul pil di 2 punti e mezzo.


La guerra all’evasione fiscale (dunque agli evasori) non viene ancora dichiarata. Eppure c’è una maggioranza del paese che paga le tasse fino all’ultimo centesimo, e sentirebbe questa guerra coma una guerra sacrosanta, come la propria guerra. Soprattutto se un governo dichiarasse che una quota superiore al 50% dell’evasione recuperata andrebbe immediatamente a diminuire il carico fiscale dei cittadini onesti.
In compenso, ogni volta che un dirigente del centro-sinistra parla di tasse, si perdono centinaia di migliaia di voti. Una politica di ineguagliato masochismo, dove si perde su entrambi i lati: presso i cittadini onesti e presso gli evasori.
Cosa impedisce una politica fiscale equa e rigorosa? Una assoluta semplificazione delle dichiarazioni, che le metta alla portata di ciascun cittadino, e che liberi dall’incubo degli errori formali. Ma poi una repressione impietosa dell’evasione volontaria, tanto più dura quanto più ricco l’evasore e la sua evasione (negli Usa, paese capitalistico per eccellenza, per frode fiscale i ricchi e potenti finiscono in galera accanto agli assassini e ai pedofili, e nessuno grida al giustizialismo).

Anche qui mi tocca fare una premessa: è ingeneroso dire che la guerra all’evasione fiscale non è stata dichiarata. I dati delle entrate dicono che l’area dell’evasione resta ancora molto grande, ma si è cominciata a ridurre, e di questo va dato merito al governo Prodi e in particolare a Vincenzo Visco, che da questo punto di vista sta portando avanti un lavoro enorme. Come ho detto nel discorso di presentazione della mia candidatura, al Lingotto di Torino, l'evasione è il cancro che corrode il rapporto di fiducia tra cittadino e Stato, proprio in quanto determina una concentrazione del peso della spesa pubblica sulle spalle dei contribuenti onesti. Non solo: c’è il rischio che le misure di lotta all'evasione aggiungano nuovi compiti burocratici e nuovi costi a carico dei contribuenti che già pagano. E che altre innovazioni legislative innalzino le aliquote o allarghino le basi imponibili, mentre quelli che evadono tutto o quasi restano al riparo dalle une e dalle altre.
Per questo io penso che il Pd si debba impegnare a restituire ai contribuenti onesti, sotto forma di riduzione delle aliquote, ogni euro recuperato dalla lotta all’evasione fiscale, che non va in ogni caso utilizzata per aumentare il livello della spesa. A Torino ho detto anche di più: ho proposto al Pd di lavorare ad un profondo ripensamento del rapporto tra fisco e cittadino, che provochi una spirale virtuosa: man mano che lo Stato abbassa le aliquote e semplifica gli adempimenti, come tu chiedi giustamente, i contribuenti accrescono il livello di fedeltà delle loro dichiarazioni, e la loro recuperata fiducia nello Stato crea quel clima di condanna sociale dell'evasione che oggi manca.



La separazione rigorosa tra politica e religione, la neutralizzazione di ogni fede nella sfera pubblica della cittadinanza, costituisce la conquista fragilissima e irrinunciabile della modernità, premessa della democrazia liberale. La sua insegna è: “Etsi Deus non daretur”. La sfera pubblica, lo spazio comune, si salva dal rischio della guerra civile di religione solo se vive “come se Dio non ci fosse”. La scuola del grande Grozio (oltre tre secoli fa!) ricava la rivoluzionaria lezione della laicità necessaria da un secolo di guerre sanguinose, che sembrava non potessero avere fine.
Questa lezione è più che mai attuale, ora che le metropoli d’Europa non vedono convivere solo diverse interpretazioni di uno stesso Dio, ma religioni che per secoli si sono scontrate in armi da un estremo all’altro del continente.
Questa lezione è più che mai irrinunciabile, ora che le questioni etiche della vita, del sesso, della morte, sempre più “manipolabili” dall’uomo, diventano questioni immediatamente politiche. E quotidiane.
Eppure il centro-sinistra non manca occasione per il “bacio della pantofola”: dai privilegi fiscali inauditi (vedi MicroMega scorso) ai diktat della Chiesa gerarchica sulle questioni etiche. Cosa impedisce al centro-sinistra su questi temi il rispetto (per la laicità, oltre e prima che per la Chiesa) che caratterizza un riformista come Zapatero?

Tu mi insegni che Ugo Grozio è stato il padre del giusnaturalismo, la scuola di pensiero che riteneva che i principi fondamentali del diritto, quelli che oggi chiamiamo i diritti umani, potessero essere attinti dalla ragione senza la necessità di ricorrere alle religioni rivelate. Questo è il senso del suo “Etsi Deus non daretur”. La difficoltà del nostro tempo nasce in buona parte dalla diffusa sfiducia che la ragione possa giungere a conclusioni univoche, o almeno convergenti, sia rispetto ai diritti umani, perché una parte del mondo islamico, ad esempio, contesta come “occidentali”, o “cristiani”, e tutt’altro che universali, i diritti affermati dalla Carta dell’Onu; sia ancor più rispetto alle questioni etiche di cui parlavi tu, quelle relative alla vita e alla morte, alla sessualità e alla famiglia, che appunto, proprio per la loro inedita “manipolabilità”, stanno assumendo connotazioni sempre più politiche.
Io penso che la laicità, nel senso “groziano” del termine che tu giustamente proponi, sia innanzi tutto fiducia nella ragione umana, nella sua possibilità di essere terreno d’incontro e di dialogo anche tra culture diverse, in nome del comune riconoscersi in principi universali sui quali fondare la convivenza tra gli uomini e tra i popoli. E, allo stesso tempo, sulla comune ricerca di modalità sempre nuove di tradurli in una società che cambia e che propone sfide nuove e per certi versi inedite ad ogni generazione. Per questo io sono convinto che il Pd possa segnare, in Italia, un passaggio storico: il superamento degli storici steccati che hanno a lungo opposto laici e cattolici. Non in nome di un confuso e ambiguo sincretismo. Ma in nome di questo comune riconoscersi nei diritti umani e di questa medesima fiducia nella ragione.
So che questo è uno dei punti più controversi e contestati da quanti, sia nel mondo cattolico, che nella sinistra, hanno deciso di non aderire al Pd. Al quale contestano proprio quella che a me pare non solo una sua irrinunciabile caratteristica identitaria, ma una delle sue più grandi potenzialità: il suo voler essere abitabile sia per i laici, che per i cattolici, volendo usare un vocabolario antico. Perché solo un partito che rispetti e assuma fino in fondo, sul terreno culturale e politico, le preoccupazioni etiche del mondo cattolico rispetto al valore della vita umana, o a quello della famiglia, può avere la forza e l’autorevolezza di difendere lo spazio laico della mediazione politica e legislativa. Così come solo un partito che avverta come suo l’anelito di libertà e di autonomia individuale che percorre la travagliata vicenda della modernità può credibilmente porsi e porre, anche sul terreno politico-legislativo, la questione del senso del limite e del principio di responsabilità.
Penso che proprio la crucialità e la complessità degli inediti dilemmi morali che riguardano la manipolabilità della vita e della convivenza umana della quale tu parlavi, rendono indispensabile questa convergente tensione verso una laicità eticamente esigente, che al paradigma dell’aut-aut preferisca quello dell’et-et. Non si tratta di un escamotage diplomatico, ma dell’esigenza che tutti avvertiamo di un punto di vista più alto e per questo più completo, che orienti decisioni comunque difficili.


Le società multietniche sono società in primo luogo multireligiose. E le democrazie liberali non possono che rispettare la più rigorosa eguaglianza di tutte le fedi di fronte allo Stato. Perché, dunque, le comunità islamiche non hanno eguale accesso all’8 per mille, alla costruzione di moschee, all’istituzioni di scuole private, e insomma a tutto ciò che la legge garantisce alla Chiesa cattolica, e non lo hanno altre religioni (con la motivazione discriminatoria che si tratterebbe di “sette”)? O, se si ritiene ciò inaccettabile, perché tali privilegi non vengono abrogati per tutte le religioni (e sarebbe la forma più coerente di Stato laico, oltre tutto)?
Le società multietniche, in nome della eguaglianza delle rispettive “culture”, già tollerano di fatto, e sembrano talvolta tentate di farne “diritto”, vergognose violazioni dei diritti individuali, specie dei più deboli (donne, figli). Una recente sentenza ha assolto genitori islamici che avevano sequestrato una figlia che voleva vivere “all’occidentale”: essendo picchiata brutalmente e regolarmente aveva minacciato il suicidio. Dunque, per evitare il suicidio, anche il sequestro di persona era ammissibile…Due violenze invece di una, garantite dalla Repubblica!
Cosa intende fare il centro-sinistra perchè per un verso l’eguaglianza tra le confessioni religiose cessi di essere vuota retorica, e dall’altro perché nessun precetto di fede o di “cultura” possa essere invocato come giustificazione (e neppure come attenuante: aggravante, semmai) per la violazione di tutti i diritti individuali?

Da molti anni si discute alla Camera su un disegno di legge organico in materia di libertà religiosa. Credo sia tanto più necessario incoraggiarne l’approvazione, se si tiene conto che non con tutte le confessioni è possibile arrivare ad intese con lo Stato. Nel caso delle comunità islamiche, ad esempio, manca una autorità religiosa con la quale lo Stato possa rapportarsi e che possa considerare rappresentativa delle comunità, o anche solo di una di esse.
Per quanto riguarda il multiculturalismo c’è solo da applicare la Costituzione, che garantisce la pari dignità di tutte le persone, senza discriminazione alcuna, di lingua, razza, sesso o religione, così come garantisce la libertà di culto ad ogni fede religiosa. Ma nessuna appartenenza “comunitaria”, neppure quella alla propria famiglia, legittima comportamenti che violino i diritti umani fondamentali. Le comunità delle quali la persona fa parte sono una dimensione della sua esistenza che va rispettata come tale. Ma nella gerarchia dei valori, la libertà e la dignità della persona sovrasta le aspettative o le convenienze di qualsivoglia gruppo del quale essa sia parte.


Di fronte a casi clamorosi e francamente inammissibili come l’ex-uxoricida o il piromane o il pirata della strada in immediata libertà facile (ma le fattispecie si potrebbero moltiplicare), si scatena puntuale la canea contro il permissivismo dei magistrati. In tale canea i politici (anche di centro-sinistra) sono sempre in pole position. Si dimenticano di essere proprio loro gli autori di tutte le leggi - che i magistrati hanno l’obbligo di applicare - che impongono (o comunque consentono) tanto colpevole lassismo.
Leggi penali che hanno derubricato reati violenti, leggi procedurali che hanno reso più difficile la prova, più facili le avvocatesche procrastinazioni (fino alle calende greche delle sempre più frequenti prescrizioni), più incerta la certezza della pena (e certa la non-galera fino a tre anni!). A partire dalla depenalizzazione di fatto della falsa testimonianza, che dovrebbe essere invece reato gravissimo, perché grimaldello per la impunità di ogni altro reato.
Perché il centro-sinistra non ha ancora cancellato le infinite leggi-vergogna e “ad personam” dell’era berlusconiana? E perché non riconosce l’errore di aver votato molte di tali leggi, e delle altre responsabili del lamentato “lassisimo”, e non inverte radicalmente la rotta?

Per quanto riguarda le leggi-vergogna e “ad personam”, a Torino ho detto chiaramente che vanno cancellate. Punto e basta. Ma tu poni un problema più ampio e, se possibile, più grave: quello del bisogno di sicurezza dei cittadini, che giustamente metti in relazione con l’efficienza della giustizia e la certezza della pena.
Cominciamo col dire che la sicurezza non è né di destra né di sinistra. E’ un diritto primario di ogni cittadino e un dovere altrettanto primario per le istituzioni. E’ un diritto primario di ogni cittadino non essere aggredito nella sua persona o nei suoi beni, molestato e neppure turbato dallo spettacolo di una criminalità o una devianza all’opera indisturbata in intere zone o quartieri della città. E’ un diritto primario di ogni persona anziana poter girare per strada o prendere l’autobus senza la paura dello scippo. E’ un diritto primario di ogni donna poter tornare a casa la sera senza la paura di essere violentata. E’ un diritto primario quello dei bambini di poter giocare nei parchi senza correre il rischio di imbattersi in una siringa infetta. Guai se il centrosinistra non coglie questa domanda di sicurezza, che viene in modo particolare dagli strati popolari della società. E guai se non coglie il nesso sempre più stretto che la gente stabilisce tra sicurezza e immigrazione: se non vogliamo che monti in Italia una cultura razzista e xenofoba che ancora non c’è, dobbiamo essere accoglienti nei riguardi degli immigrati, dei loro diritti e dei loro bisogni, ma inflessibili nell’esigere da loro, come dai cittadini italiani, il rispetto della legge. E dobbiamo anche lavorare di immaginazione, per produrre soluzioni innovative, come quella che, come Comune di Roma, abbiamo costruito con la Romania per ridurre il numero degli arrivi e creare le condizioni per il rimpatrio dei Rom.
Per garantire sicurezza ai cittadini servono tre cose. La prima è più polizia per le strade. L’Italia spende per le forze dell’ordine una percentuale di pil superiore alla media europea. Ma una quantità eccessiva di queste risorse non riesce a tradursi in vero presidio del territorio. E anzi, abbiamo la giusta protesta dei diversi corpi che lamentano di non avere i soldi per la benzina delle volanti. La risposta è: coordinamento tra le forze di polizia e meno agenti negli uffici e più sulle strade. Sono anni che si dicono queste cose, è arrivato il momento di farle.
La seconda è un sistema giudiziario che restituisca certezza alla pena e ai tempi nei quali essa viene erogata. Questa della giustizia è una vera emergenza nazionale. Da quindici anni il paese assiste sgomento ad un dibattito sulla giustizia concentrato esclusivamente sul rapporto tra magistratura e politica. Non sarò io a negare l’importanza di questo aspetto e la necessità democratica di difendere l’autonomia della magistratura dai tentativi di una parte della politica di creare nuove impunità. E ho già detto che le leggi-vergogna vanno semplicemente cancellate. Ma agli occhi dei cittadini di cui parlavo prima il problema principale della giustizia non è questo: è la durata dei processi, che è oggi tre, cinque, dieci volte superiore alla media europea e a ciò che sarebbe ragionevole. Processi che durano anni rendono aleatoria una pena che dovrebbe essere certa contro chi commette un crimine. E rendono praticamente impossibile avere giustizia in caso di controversia civile, con costi economici immensi. Penso che il Pd dovrà mettere intorno ad un tavolo magistrati, avvocati, giuristi, esperti in cultura dell’organizzazione e porre loro una semplice domanda: come possiamo, insieme, lavorare per dare all’Italia, nel più rigoroso rispetto delle garanzie costituzionali, una giustizia che abbia finalmente tempi europei.
Terza cosa che serve, per un’efficace politica della sicurezza: dobbiamo occuparci delle carceri, non solo quando scoppiano. Le nostre carceri non possono essere discariche di umanità dolente. Devono essere quello che la Costituzione vuole che siano: luoghi di recupero, attraverso l’espiazione certo, ma anche attraverso un percorso di reinserimento, soprattutto per i più giovani e per chi si è macchiato di reati minori. Questi percorsi oggi mancano quasi del tutto, per le gravi carenze di strutture e di personale. Ma se i detenuti non riescono né a studiare né a lavorare, il carcere finisce per essere un’università del crimine, dunque un’istituzione più dannosa che utile, ai fini della sicurezza. Anche su questo è necessaria una svolta, se non vogliamo ritrovarci, tra qualche mese, a ridiscutere di amnistie o indulti a causa del sovraffollamento delle carceri.


Nel nostro paese c’è lo schiavismo, e il centro-sinistra lo tollera. Per porvi fine, la democrazia americana accettò il prezzo devastante di una guerra civile. E noi, sinceri “democratici”? In Italia, infatti, non c’è più prostituzione. C’è schiavismo sessuale. Donne (ma ormai anche ragazzi) comprate e vendute, “importate” con inganno e violenza. Ridotte in schiavitù, appunto. Perché per la “riduzione in schiavitù” non è stato ancora introdotto l’ergastolo? Perché non accade mai che uno di questi schiavisti finisca ucciso dalla polizia mentre cerca di fuggire nel corso di un’indagine? Se accadesse spesso, l’obbrobrio dello schiavismo verrebbe rapidamente meno.
E invece, si continua con le retate di prostitute, cioè di donne che non commettono alcun reato e sono anzi vittime di uno dei reati più gravi ed odiosi, paragonabili all’omicidio.

Esecuzioni sommarie a parte… sono d’accordo con te. Dobbiamo combattere ogni forma di racket, anche perché dietro ognuna di esse c’è un’organizzazione criminale, di solito di stampo mafioso, italiano e non più solo italiano. Il racket delle persone umane è naturalmente il più odioso e va combattuto con particolare energia. Senza dimenticare che dietro ogni prostituta-bambina sulle strade non c’è solo uno schiavista, che va colpito con tutto il rigore possibile. C’è anche un complice: il cliente, quello che compra quella schiava o quello schiavo, dopo averne apprezzato le caratteristiche fisiche, proprio come si faceva nell’antica Roma o nei porti americani prima della guerra civile che hai ricordato. Penso che dovremmo porci il problema di sanzionare anche questo tipo di connivenza con un crimine tanto odioso e disumano.



Se domani costruisco un miniappartamento dentro il Colosseo, posso evitare la galera, e il sequestro e l’abbattimento del manufatto? Sembrerebbe di sì, visto che si costruisce allegramente e sistematicamente sul demanio. Perché tali costruzioni non sono immediatamente confiscate, visto che “insistono” su terreno altrui (cioè nostro)? Perché le leggi non prevedono la galera per simili misfatti?
E perché, invece, una infinità di lacci e lacciuoli mette sullo stesso piano di questi criminali chi compie una piccola ristrutturazione in casa propria, che non danneggia nulla e nessuno, non aumenta volumi, ma è solo in violazione di regolamenti certosinamente quaresimali e nulla più?
E insomma: ogni tanto un episodio che finisce in tragedia riporta alla cronaca la piaga dell’abusivismo edilizio. Cosa impedisce di combatterlo radicalmente e definitivamente, come in non pochi paesi civili?

Se citi il Colosseo non posso evitare di farti l’esempio di Roma, per dirti che non è vero che non si fa e non si può fare nulla. In questi anni abbiamo abbattuto 500 mila metri cubi di costruzioni abusive, dall’Hotel Summit a tutti i fabbricati che facevano scempio del Parco dell’Appia Antica e del Parco di Veio, dall’edificio confiscato a un appartenente della Banda della Magliana nella borgata Finocchio alle villette e alle mansarde che la presunzione di impunità aveva fatto sorgere a due passi dalla scalinata della Trinità dei Monti, a Campo de’ Fiori o a via Frangipane, proprio alle spalle del Colosseo. E sempre lì in zona, l’area del Celio, esempio massimo di degrado e di delinquenza, ora è stata restituita alla vita del quartiere e dei cittadini, è diventata un bellissimo parco pubblico. Insomma, se è vero che non è semplice e che ci sono tempi che potrebbero essere accorciati, se si afferma nella pratica il principio che azzardarsi a costruire abusivamente non porta lontano, allora si arriverà al risultato radicale e definitivo che giustamente auspichi. A Roma stiamo dimostrando che è possibile, anche se la battaglia contro gli effetti devastanti causati da troppi anni di condoni edilizi è lunga è difficile, non c’è dubbio.


Negli ultimi cinquant’anni la vita media si è allungata di oltre dieci anni. Che senso ha che l’età pensionabile non si allunghi di almeno la metà di tale cifra? Fatti salvi i famosi lavori usuranti, miniere, altoforni, concerie, catene di montaggio, non certo i lavori “noiosi”. L’età media delle donne è di parecchi anni superiore a quella degli uomini, perché dunque non equiparare subito le età pensionabili?
Il lato sociale (irrinunciabile) di una politica di centro-sinistra dovrebbe rivolgersi ad obiettivi ben diversi dalla difesa indifendibile di età pensionabili da “anni sessanta”.
Lotta contro il lavoro precario, con nuove leggi e sanzioni pesanti per gli imprenditori che abusino della flessibilità. Sanzioni pecuniarie e penali che stronchino quell’altra forma di neo-schiavismo che è il nuovo caporalato dei campi e dei cantieri. Salario sociale per la disoccupazione, come in tanti paesi europei. E tante altre misure di un nuovo welfare, più ampio, più equo, più efficace (e certamente possibile, in abbattimento di evasione fiscale, sprechi burocratici da “casta” e infinite altre spese da privilegio).

A Torino ho ricordato che Vittorio Foa disse una volta che la destra è figlia legittima degli interessi egoistici dell'oggi, la sinistra è figlia legittima degli interessi di quelli che non sono ancora nati. Non si potrebbe dire meglio, almeno dal mio punto di vista. Ma noi democratici, noi riformisti, noi donne e uomini del centrosinistra dobbiamo poi essere conseguenti, e mettere al centro delle nostre preoccupazioni la necessità di disegnare un sistema previdenziale che sia sostenibile dal punto di vista finanziario e che consideri come non possa più reggere, di fronte all’allungarsi della vita media, una situazione in cui di fatto i giovani precari devono finanziare con i loro contributi le pensioni dei padri senza al tempo stesso maturare il diritto di ricevere, un giorno, una pensione equivalente. Il governo Prodi e le confederazioni sindacali hanno firmato un ottimo accordo, che ammorbidisce lo "scalone", senza intaccare le prospettive di sostenibilità del sistema previdenziale. Il Pd dovrà aiutare e stimolare il governo a concentrare la gran parte dei suoi sforzi di elaborazione e di iniziativa sugli odierni fattori fondamentali di disagio e di disuguaglianza, proprio a partire dalle principali vittime del mancato adeguamento dello Stato sociale alla nuova realtà della società e dell'economia: i giovani condannati ad una precarietà indefinita, i bambini poveri, gli anziani non autosufficienti.
E’ questo che intendo, quando parlo della necessità di ripensare il nostro welfare, attraverso un nuovo patto tra le generazioni, per il futuro dell’Italia.


Un tempo la sinistra diceva “casa, ospedale, scuola” per contrapporre il proprio riformismo al conservatorismo dell’establishment.
Ma in intere zone del sud gli ospedali stanno virando verso il lazzaretto, e anche al nord il disservizio conquista ogni giorno nuovi traguardi. La sanità sta diventando di nuovo e sempre più “di classe”. E non è questione di risorse, ma di loro pessima e lottizzata utilizzazione (dove la volontà politica c’è, a parità di risorse si realizza un servizio sanitario pressocchè modello).
Nelle università si potrebbe sperimentare il costo differito (si pagherà un x% del proprio reddito futuro, deciso liberamente da università rese autonome, per tot anni o anche per tutta la vita. Chi pensa di fornire un servizio migliore chiederà una x più alta. Tutti potranno studiare, senza i rischi connessi al “prestito d’onore” americano, troppo simile ai mutui/casa. E le università, indirettamente, diventeranno anche armi anti-evasione. E saranno in concorrenza tra loro). Ma i licei dovranno essere trasformati perché si studi di più rendendo lo studio appassionante. Gli esempi esistono, basta cercarli e valorizzarli. E selezionare un corpo docente motivato e adeguatamente pagato.
La casa, in affitto o in proprietà, costa in Germania infinitamente meno che da noi. Cosa impedisce di studiare tutti i casi europei, per diventare il paese all’avanguardia in una politica sociale per la casa?

La sanità italiana vanta la migliore performance nel mondo dopo la Francia, nel rapporto tra risorse impiegate e risultati in termini di salute dei cittadini. Non lo dice solo Michael Moore: lo dice l’Organizzazione mondiale della sanità. La quale peraltro boccia il sistema sanitario italiano quanto a “orientamento al paziente”: basti pensare alle liste di attesa. Ed è vero che tanti nostri ospedali sono, come strutture, dei lazzaretti. Come è vero che il trend della spesa si va facendo insostenibile, soprattutto a causa dell’invecchiamento della popolazione.
Il nostro sistema formativo, sia scolastico che universitario, ha isole di eccellenza, ma è complessivamente inadeguato in termini di rendimento, in particolare nel Mezzogiorno. I risultati dell’indagine Ocse dello scorso anno sono allarmanti. Le competenze di un ragazzo trentino sono nella fascia alta d’Europa, quelle di un terzo dei ragazzi del Sud sono a livelli di semianalfabetismo. Sia il sistema universitario che quello della ricerca faticano a tenere il passo, non solo con i paesi Ocse, ma pure con quelli emergenti, Cina e India in testa. Dobbiamo riuscire ad attrarre studenti e docenti nelle nostre università: per questo abbiamo bisogno, ad esempio, di un sistema di campus universitari, come i tre che abbiamo in cantiere a Roma, a Tor Vergata, ad Acilia e a Pietralata, che permettano anche di calmierare il mercato degli affitti e di offrire ospitalità a costi accessibili.
La casa, come hai detto bene, è un bene inaccessibile a molte famiglie e in particolare a molte giovani coppie. E il prezzo degli affitti è uno dei principali ostacoli alla mobilità territoriale.
Sono tre esempi della necessità di quel nuovo riformismo che è la ragion d’essere stessa del Partito democratico. Un riformismo che non può avvalersi di risorse aggiuntive rispetto agli attuali livelli di spesa pubblica. Ma deve riuscire a fare meglio con le risorse attuali. Deve quindi concentrare la sua attenzione creativa sulla riorganizzazione dei diversi comparti della spesa sociale, con tutta la fatica che questo comporta, tanto più se si considera che gran parte di questa riorganizzazione significa essenzialmente riorganizzazione del lavoro. Chi convince chi lavora nella o per la sanità, nella o per la scuola, l’università, la ricerca, che è necessario cambiare il proprio modo di lavorare, per dare a quel lavoro un senso più compiuto, il senso di essere davvero utili alla collettività?
Torniamo al nodo, culturale e morale, prima ancora che politico, che ci ha portato a lanciare la scommessa del Pd. Dobbiamo accumulare motivazioni forti, che rendano comprensibile, “sensato” il cambiamento. Dobbiamo elaborare una cultura del cambiamento, che tenga fermi gli obiettivi di principio e semmai innalzi il livello della loro ambizione. E al tempo stesso adotti il necessario pragmatismo nell’adattare gli strumenti organizzativi agli obiettivi sociali.
Questo per me è il riformismo. E non si può farlo semplicemente dal governo. Serve un grande soggetto politico che non solo raccolga e rielabori idee per il cambiamento, ma accumuli la necessaria riserva di “senso” e quindi di “consenso”, che lo renda politicamente possibile.


La situazione televisiva italiana è di tipo bulgaro, anche se diviso in due. Monopolio delle televisioni commerciali, lottizzazione partitica delle reti pubbliche. Dovrebbe essere ovvia una svolta radicale: fine della lottizzazione (qualcosa tra BBC dei tempi d’oro e Banca d’Italia, per la Rai), non più del 49% di una rete nel privato, limiti draconiani per le quote pubblicitarie, ecc., nel più coerente spirito antitrust. E invece abbiamo solo la riforma Gentiloni (sulla carta), che cambia poco e nulla.
Ma Berlusconi e Confalonieri vanno sbraitando di “esproprio” già per la proposta Gentiloni, si dirà. Che ci si faccia condizionare, e dunque si consideri “avanzata” una proposta che ha la forza riformatrice di un brodino vegetale, è la dimostrazione di una subalternità rinunciataria, che subisce la devastante egemonia berlusconiana su agenda e sentire comune.
Cosa impedisce al centro-sinistra una vera riforma democratica della tv, antitrust e antilottizzazione?

Nelle condizioni date, che sono quelle definite dai rapporti di forza di questo Parlamento, la proposta Gentiloni è una buona proposta: introduce elementi di movimento nell’attuale rigido duopolio, anche guardando verso lo scenario nuovo che sarà determinato dalle nuove piattaforme tecnologiche e a soluzioni nuove per il governo della Rai. Credo sia arrivato il momento di chiedersi se sia giusto, oggi, che questa azienda abbia un consiglio di amministrazione che finisce, per la fonte di nomina e per il suo essere «piccolo parlamento», con il gestire l´azienda. Con il duplice rischio di una duplicazione di funzioni rispetto alla Commissione di vigilanza e di un oggettivo indebolimento e precarietà dei vertici aziendali e del senso di appartenenza di dirigenti e personale.
Ma non vorrei che ci limitassimo a parlare di assetti istituzionali. La questione di fondo è quale rappresentazione di sé il Paese si dà attraverso la televisione. E’ questo quel che mi preoccupa di più. In questi quindici anni si è costruito un grande circo Barnum che sembra organizzato per far emergere il peggio dalle viscere della società italiana. Non soltanto la Rai, ma tutto il sistema televisivo pubblico o privato è chiamato a un profondo cambiamento. Chi fa i palinsesti deve avere più fiducia in se stesso e negli italiani.


La ripresa dei lavori parlamentari vedrà il voto sulla richiesta della magistratura di utilizzare registrazioni telefoniche in cui compaiono parlamentari (anche Ds). Il centro-sinistra non ha fin qui neppure preso in considerazione ciò che alcuni anni fa la sinistra giustamente sosteneva: che i parlamentari, rispetto a un comune cittadino, dovrebbero avere solo la tutela della autorizzazione della Camera (o del Senato) al mandato d’arresto. L’attuale legge costituisce insomma un assurdo privilegio. Perché, anziché abrogarla tornando all’equo garantismo di qualche anno fa, si vogliono moltiplicare i privilegi anti-indagine per un parlamentare sospetto di crimini?
E perché si continua a fingere che non sussista comunque una questione morale, se un dirigente del centro-sinistra parla di “tavolo politico a latere” in una sporca faccenda di cordate finanziarie con “furbetti”?

In Italia non c’è più, e giustamente come dici tu, l’autorizzazione a procedere: anche i parlamentari possono essere indagati e processati come qualunque cittadino, salvo che per i reati di opinione, per i quali è prevista l’autorizzazione della camera di appartenenza, che deve valutare se l’ipotesi di reato contestata rientra o meno nella garanzia costituzionale per la quale nessun parlamentare può essere chiamato a rispondere delle opinioni o dei giudizi espressi nell’esercizio del suo mandato. Un’autorizzazione della camera di appartenenza è ugualmente richiesta per i provvedimenti restrittivi delle libertà fondamentali; ma se c’è una sentenza di condanna passata in giudicato il parlamentare entra in carcere senza bisogno di autorizzazione, come qualsiasi cittadino. Tra i provvedimenti restrittivi delle libertà fondamentali, oltre all’arresto, ci sono le perquisizioni (domiciliari e personali) e le intercettazioni telefoniche, che dunque devono essere autorizzate. Si tratta, mi sembra, di garanzie ragionevoli e motivate, alla luce di una cultura liberale.
Quanto al caso specifico, sia Fassino che D’Alema hanno chiesto alla Camera di autorizzare la magistratura ad utilizzare le intercettazioni che li riguardano. Dunque nessun limite verrà frapposto all’azione dei giudici.