venerdì 2 novembre 2007

Diario di un Costituente

Sabato 27 ottobre 2007, ore 5:35. Quando mettiamo piede sul pulmino che ci condurrà a Milano comincia ufficialmente la Grande Avventura. Sei delegati dell’Empolese-Valdelsa più un ospite, in verità tutti molto arzilli per la prima mezz’ora di viaggio, crollano in un sonno meditativo, ristoratore o comatoso a seconda dei pensieri, delle ore di riposo arretrato o dello stato fisico di ciascuno. La resurrezione collettiva avviene verso le 8:30, quando l’autista si ferma in un’area di servizio per fare rifornimento; noi non volendo essere da meno ne approfittiamo per rifornirci di pasta & cappuccino. E’ in questa area di servizio prima di Piacenza che cogliamo una prima sensazione di quello che ci attende. Almeno in tre abbiamo la percezione di far colazione insieme ad altri delegati, vediamo persone vestite di tutto punto, sentiamo accenti non autoctoni, annusiamo nell’aria una certa frenesia poco consona all’orario. Tutte fisime mentali molto probabilmente, ma ciononostante ce ne andiamo via con ancora in bocca il dolce sapore di una felice intuizione dettata dal nostro sesto senso.
Arriviamo a Milano alle 10, in perfetto orario. Davanti all’ingresso troviamo subito un “comitato di benvenuto”. Un presidio dei precari della sanità sta manifestando la propria condizione di… precari, con tanto di camici bianchi, ambulanze e vari striscioni tra cui uno: “Vorresti una sanità precaria?” Anche loro, senz’altro più di noi, attendono delle risposte. Ci accodiamo al fiume di gente che entra nella cittadella fieristica, pare di essere in fila per un concerto, solo che questa volta possiamo dire di voler andare a sentire proprio una musica diversa! Diligentemente ci mettiamo in coda per ottenere il tanto agognato pass, che spetta ai padri (e madri) costituenti. Ad alcuni (me compreso) viene consegnato un questionario predisposto dall’Università di Milano, con tutta una serie di domande volte a capire l’identikit ed il pensiero del costituente tipo.
Entrando nel Padiglione 16 mi rendo conto che 2.853 delegati sono davvero tanti! I posti a sedere sono quasi tutti presi, a fatica riusciamo a sistemarci su una gradinata laterale, in realtà predisposta per gli ospiti. Ospiti che scopriremo in seguito essere ben più di duemila, raddoppiando di fatto la popolazione del padiglione, con conseguente scarsità di spazio. In tanti, in effetti, non hanno saputo resistere al fascino dell’evento, hanno voluto esser presenti anche semplicemente per poter un giorno dire: “Io c’ero”.
Alle 10:45 attacca la musica. “Under pressure” dei Queen. Sotto pressione è un’espressione calzante. I leader del PD sanno che tutti i presenti in sala, ma in realtà anche i numerosi osservatori da casa (diretta su internet) si aspettano molto dal nuovo partito ed in particolare dai lavori di questa prima giornata, e sanno di non poter deludere tali speranze.
Alle 11 cade (letteralmente!) il sipario, e vediamo finalmente il palco. Scenografia techno ed un simil-prato verde sono il frutto del progetto dell’Arch. Fuksas. Anna Finocchiaro presiede l’Assemblea, e chiama a parlare il Presidente Romano Prodi.
“Democratiche, democratici”. Questo è l’esordio, accolto da un primo scroscio di applausi. Per quanto mi riguarda, abituato al “Compagne e compagni” con tutto il suo profondo significato, avverto un po’ di nostalgia per quest’inizio differente. Sensazione che tuttavia si è trasformata in entusiasmo, per ciò che la nuova espressione di saluto sta aprendo, quella nuova stagione della politica tanto aspettata ed ora a portata di mano. Il discorso di Romanone Prodi dura un’oretta, inizia ripercorrendo le tappe della genesi del PD e arriva ben presto ad uno dei capisaldi che dovrà caratterizzare il PD stesso: l’unità. Parola semplice e principio sacrosanto, che tuttavia non è stato tenuto molto in considerazione dalla politica negli ultimi anni. Unità anche tra le diverse culture politiche del ‘900 che si ritroveranno nel PD: il nuovo partito non pretenderà la cancellazione del passato, bensì la sintesi di ciò che ciascuno ha vissuto. Altro caposaldo sarà la trasparenza, in particolar modo nella partecipazione alle decisioni.
Continuando nell’esprimere i vari punti rappresentativi di quel progetto ulivista che si chiamava “l’Italia che vogliamo”, e che ancora oggi è in itinere, si compie una sorta di passaggio di consegne a Walter Veltroni, nominato segretario dallo stesso Prodi alla fine del suo discorso. Ennesimo lungo applauso quando la Finocchiaro chiama il segretario sul palco.
La musica riprende, le note questa volta sono di una canzone di Jovanotti, “Mi fido di te”. Giusto il tempo di un abbraccio, di un saluto, delle foto di rito, e l’Assemblea si fa nuovamente muta, desiderosa di ascoltare il primo discorso del primo segretario del PD. L’emozione di Walter, che non dubito ci sia stata, sparisce subito: più che un discorso inizia un ragionamento a mente aperta, coinvolgente, spontaneo e profondo. Nessun foglio, nessun “gobbo”, nessun appunto, per un’ora Veltroni parla del nuovo partito facendo veramente ascoltare una musica nuova.
Parla di discontinuità nel modo di fare politica, proprio partendo da una discontinuità sull’organizzazione stessa del partito. No al tradizionale partito di iscritti, sì al nuovo protagonista che sarà il cittadino elettore-attivo, perché la partecipazione viene prima dell’appartenenza.
Parla di un partito più a rete che a piramide, e ribadisce la centralità delle primarie. Prosegue parlando di innovazione, sia programmatica che istituzionale e politica. Con un’innata capacità riesce a trattare tutti i fondamentali aspetti della vita di una comunità: lavoro e precarietà, patto generazionale, tutela ambientale, crescita economica indissolubilmente legata all’equità sociale, sicurezza, pace.
Parla in maniera semplice, come semplice dev’essere la politica che serve ai cittadini, che ascolta le loro esigenze e che riesce a decidere per dare risposte concrete. E via, allora, a parlare di legge elettorale, dettando principi chiari, anche qui semplici: superare la frammentazione, dare stabilità, garantire l’alternanza. Un passaggio importante, al tempo stesso di apertura, di unità e di novità, lo colgo nelle parole che tendono la mano verso le forze di quella sinistra democratica che per molto tempo ha condiviso finalità ed obiettivi dell’ulivo. Si può, anzi si deve, avviare un confronto con lo scopo di riprendere da dove ci si è lasciati poco tempo fa.
Il discorso termina alle 13:05, in perfetto orario per un collegamento con i Tg. E come al Lingotto di Torino si conclude con una lettera. A scriverla è un giovane imprenditore di Bologna, il cui contenuto si può sintetizzare con un concetto che chiude degnamente l’intervento di Veltroni: far sentire ogni italiano al centro di qualcosa di importante.
Ciò che è successo dopo è stato il giusto contorno ad una giornata storica, perfetta quasi in ogni suo punto. Dopo una breve spiegazione dei risultati di un’indagine sulle potenzialità del PD in termini di consensi, inizia la serie dei 15 interventi “dal basso”. Otto minuti ciascuno dove volti noti e meno noti cercano di dare una propria visione particolare, chi sul PD, chi su questioni specifiche, chi su esperienze personali. Da segnalare, sia per l’attenzione ricevuta, che soprattutto per le importanti parole spese sul fronte del rispetto della legalità, l’intervento di Maria Falcone.
Alle 16 Walter Veltroni riprende la parola per le conclusioni della giornata, sottolineando la vocazione maggioritaria del PD: basta con alleanze instabili, o viene condiviso fino in fondo un programma tra forze politiche omogenee, o il partito democratico correrà da solo.
Gli applausi non sono ancora terminati quando Walter comincia a leggere il Dispositivo da sottoporre all’approvazione dell’Assemblea. Da lì iniziano i dieci minuti bui della giornata, visto che viene chiesto di approvare (per alzata di mano, pardon, di delega!) le disposizioni e i nomi dei componenti delle tre Commissioni senza aver avuto neppure la possibilità di leggere prima alcunché. Questa chiusura piuttosto autoritaria ha un po’ sciupato l’atmosfera positiva che si era venuta a creare lungo tutto l’arco della giornata. L’incrinatura maggiore c’è stata al momento della lettura dei nomi dei componenti delle tre Commissioni. L’ordine alfabetico ha giocato un brutto scherzo quando dal nome di Ottaviano Del Turco si è passati a quello di Ciriaco De Mita: gli iniziali fischi si sono trasformati in un vero e proprio boato di contestazione che ha costretto la Finocchiaro a richiamare all’ordine!
Col senno di poi appare chiaro che non è che vi fossero molti altri modi per approvare quelle norme transitorie che dovranno fissare lo scadenziario per la costituzione del PD. Era francamente impensabile dar voce e far votare tutti i 2.853 delegati. Magari sarebbe bastata una forma diversa di comunicazione, per non far sentire gli eletti come fossero lì solo per una gita.
Durante il viaggio verso casa mi sono ritornati a mente parecchi flash. L’unico negativo non ha compromesso i moltissimi positivi. La sensazione è quella di aver partecipato ad un evento che verrà ricordato in futuro, e per il bene di noi tutti speriamo possa essere un bel ricordo!
“Under pressure”. Le note della canzone dei Queen mi fanno eco nella testa, procurandomi un sorrisetto compiaciuto. Ad essere sotto pressione, ora, è qualcun altro, visto che il popolo del PD adesso esiste e marcia unito, spinto da un forte vento di novità che dalle parti di Arcore sta già scoperchiando i tetti.

Alessio

Nessun commento: