lunedì 30 luglio 2007

Perchè voglio il Partito Democratico

di Michele Salvati
Mercoledì scorso Il Foglio ha pubblicato (e lo ringrazio per questo) un mio appello per la costituzione immediata di un partito di centrosinistra, o, se si preferisce, di sinistra moderata: userò sempre queste espressioni come sinonimi. Il nuovo partito potrebbe chiamarsi Partito Democratico (il nome più semplice e forte oggi a disposizione) e dovrebbe nascere da un processo costituente, da una fusione, che coinvolge tutti i partiti che condividono il progetto: essenziali, per le loro dimensioni e la loro storia, sono la Margherita e i Democratici di sinistra. Il segretario di questo partito deve essere (non uso più il condizionale) Romano Prodi. Le ragioni di questa proposta sono spiegate, e le principali obiezioni ribattute, nel testo dell´appello. Su questo giornale è appena uscito un articolo di Mario Pirani, che le riporta correttamente; qui le riprendo in modo schematico, rispondendo anche alle critiche effettive che la proposta ha ricevuto.Do per scontate le seguenti affermazioni: (a) la coalizione di centrosinistra vuole vincere le prossime elezioni politiche (se si osserva come il centrosinistra effettivamente si comporta, non è poi un´affermazione così scontata); (b) per vincere le elezioni deve ottenere i voti degli elettori moderati, anche di molti che hanno votato per il centrodestra nel 2001, senza perdere possibilmente quelli della sinistra più radicale; (c) la struttura attuale della coalizione, una struttura paritetica tra una dozzina di partiti e partitini, non trasmette agli elettori un messaggio comprensibile e attraente: l´Ulivo è in forte crisi; (c) quello che soprattutto manca - se rimane in vita il sistema elettorale che abbiamo - è un grosso partito con leadership autorevole sul versante di centro della coalizione, un partito che possa strappare una buona fetta di elettori moderati a Forza Italia. Insomma, manca una "Forza Italia" di centrosinistra; (d) la ragione di ciò sta nel fatto la Margherita, che potrebbe svolgere questo ruolo, è più debole dei Ds, che invece non possono svolgerlo. Non possono svolgerlo perché sono divisi al loro interno tra una componente moderata e una radicale e sono percepiti, giustamente, dagli elettori come un partito di sinistra e, per di più, ex comunista.Di qui la proposta, che ha il duplice scopo di spostare verso il centro l´asse della coalizione e di dare agli elettori un´immagine più chiara di che animale sia il centrosinistra: un partito più grande di riformisti moderati e uno o più partiti più piccoli di riformisti radicali. Insomma, non si vuole creare nulla che già non ci sia: si vuole solo organizzare meglio ciò che già c´è e non è destinato a cambiare in tempi brevi, una maggioranza di riformisti moderati e una minoranza di radicali. La soluzione limpida è allora quella del Partito democratico sotto la leadership di Romano Prodi. È una soluzione che probabilmente dovrà scontare - durante il processo costituente - scissioni significative nei due principali partiti e soprattutto nei Ds (si fa fatica a immaginare la sinistra di questo partito che accetta di diventare una componente molto minoritaria all´interno del Partito democratico), ma nella quale l´accento sta sul processo di fusione, non sui costi di scissione. Ed è una soluzione i cui promotori possono essere alcuni leader politici più credibilmente di altri: quelli che a suo tempo si sono maggiormente spesi per un Ulivo come una federazione stretta e meno hanno sostenuto la completa autonomia o addirittura l´egemonia dei loro partiti. Le critiche che ho ricevuto sono di due tipi, dal "lato del cameriere" e "dal lato della storia", per usare la famosa espressione di Hegel. Non sottovaluto le prime, perché il lato del cameriere è fondamentale in politica: ma i nomi che avevo incautamente menzionato come esempi di leader riformisti di grande qualità, ma meno adatti di altri a farsi promotori del Partito democratico per le posizioni che hanno sostenuto in un recente passato (Marini, D´Alema, Amato), volevano solo esemplificare un problema politico: che ci sono dei limiti di credibilità all´impiego degli stessi uomini per tutte le stagioni, specie quando le stagioni si succedono rapidamente. Ho la massima stima di tutti e non ho risentimenti personali con nessuno. A Massimo D´Alema devo una esperienza straordinaria come deputato e membro della commissione bicamerale. Giuliano Amato è un caro amico, di cui, oltretutto, dubito che intenda continuare a impegnarsi in politica, in questa politica, cosa di cui tutti dovrebbero molto rammaricarsi e non pochi fare un mea culpa. Finiamola qui. Le critiche serie sono dal lato della storia. I partiti non si inventano, mi si dice, sono cultura, memorie, bandiere, canzoni, rapporti personali: non sei mai stato in una sezione dei Ds, non hai percepito la presenza dei fantasmi, dei vecchi ritratti di Lenin, Togliatti e Berlinguer che si impolverano in soffitta? Per quali motivi i militanti offrono con entusiasmo il loro lavoro gratuito nelle feste dell´Unità? Perché i Ds stanno insieme nonostante le differenze di convinzioni politiche? Che canzoni, che memorie, che bandiere ci sarebbero per il Partito democratico? La "canzone popolare" dell´Ulivo? Al di fuori delle emozioni e tornando al ragionamento. È proprio necessario che il socialismo - la grande tradizione del movimento operaio europeo - debba fondersi in una melassa indistinta di tradizioni riformistiche diverse? Vogliamo forse lasciare quanto resta di quella tradizione nel nostro sfortunato paese o all´estrema sinistra o a partitini alleati della destra, horribile visu, com´è per il nuovo Psi di Gianni De Michelis? Non era forse - il disegno di D´Alema e Amato - un grande tentativo per salvarla, per fare dell´Italia politica un paese più omogeneo agli altri grandi paesi europei, un "paese normale"?Sì, lo era, ma non poteva funzionare e, come uno dei tanti figli di quella tradizione, ne sono addolorato: un mio saggio sul prossimo numero de "Il Mulino" tenta proprio di spiegare perché, nel paese del duello a sinistra tra socialisti e comunisti negli Anni '80 e poi della rivolta populista degli Anni ´90, la costruzione di un partito di socialismo democratico egemone sull´intero spettro del centrosinistra era destinata a fallire. In astratto esiste ancora la possibilità di un suo equivalente funzionale, come direbbero i sociologi: il Partito democratico, appunto. I popolari hanno fatto il primo passo, confluendo nella Margherita: e non si dica che la loro tradizione politica era meno profonda e meno nobile di quella del movimento socialista. Perché non possono farlo i democratici di sinistra? Il passaggio dall´astratto al concreto dipende solo dal numero, dalla qualità e dall´entusiasmo dei promotori: la domanda nel paese è grandissima. I partiti non si inventano? Non è vero, i partiti nascono e muoiono. Nascono per iniziativa di persone che percepiscono la loro necessità storica: e quale necessità è più impellente di quella di contrastare questo centrodestra, quale progetto più entusiasmante di quello di costruire un paese civile? Non "normale", civile. Naturalmente non se ne farà nulla. Si cercheranno subordinate meno costose in termini di consuetudini politiche e di posizioni di rendita. Si cercherà di rappezzare l´Ulivo. A questi tentativi, come partigiano del centrosinistra persino nella sua versione attuale di armata Brancaleone, auguro sinceramente il più grande successo.
La Repubblica, 15 aprile 2003

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